giovedì 16 settembre 2010

Spazio Identitario, secondo appuntamento con la petizione contro la mafia


Si rinnova l'iniziativa di Spazio Identitario a distanza di una settimana. Infatti i ragazzi dell'associazione, domenica 19 settembre a partire dalle ore 9, saranno presenti in Villa Comunale per promuovere nuovamente la petizione contro la mafia, lanciata la scorsa domenica.

L'intento della petizione è quello di negare il diritto di voto e di candidatura ai condannati per mafia. L'associazione vuole raggiungere questo traguardo per avere un'Italia e una politica libera dal malaffare mafioso.

Per questo invitiamo le persone libere da ogni pregiudizio a firmare, perchè solo con l'azione si costruisce un'Italia migliore.


E' ora di liberare l'Italia dal male mafioso, RIBELLATI!

giovedì 9 settembre 2010

Spazio Identitario, parte la petizione contro la mafia


Finalmente, possiamo dirlo. Domenica 12 settembre parte la petizione contro la mafia. Era in cantiere da circa un mese e finalmente è arrivato il giorno di annuciare che la prossima Domenica, dalle ore 11.00, Spazio Identitario sarà in Villa Comunale per raccogliere le firme di tutti colori che vogliono combattere realmente la mafia.

L'obiettivo della petizione è quello di NEGARE il diritto di voto e di candidatura per i condannati in via definitiva per reati di stampo mafioso e di NEGARE l'accesso a riti alternativi che prevedono la riduzione della pena agli imputati per mafia.

La nostra azione vuole ribadire il concetto che la criminalità deve essere combattuta con le azioni e non con le solite frasi rubate a chi la mafia l'ha combattuta veramente. Per combattere la mafia, però, non basta la volontà di un gruppo di giovani che credono in un futuro migliore per la loro Nazione, ma c'è bisogno della "rivolta" di un popolo intero, c'è bisogno della volontà della gente libera che vuole un'Italia e una politica pulita.

Per questo chiediamo a tutte le persone che hanno a cuore il destino di questa Nazione, di firmare la petizione, di schierarsi, di essere in prima linea nella lotta alla mafia, di onorare con la propria firma coloro che, come Borsellino, Falcone e Impastato, hanno avuto il coraggio di schierarsi dalla parte giusta.

Proprio per questo, la nostra iniziativa vuole essere una risposta a chi dice che Mangano è un eroe, vuole essere una risposta a chi uccide rappresentanti delle istituzioni, vuole essere una risposta a chi crede che i giovani non hanno alcun interesse nel migliorare l'Italia, vuole essere una provocazione verso i pusillanimi, vuole essere una risposta a chi crede che le idee non diventano mai azione. Questa è l'occasine, questa è la cultura delle idee che diventano azione.

Spazio Identitario - Petizione contro la mafia

venerdì 3 settembre 2010

Per non dimenticare...



"Certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare più serenamente negli occhi i propri figli e i figli dei nostri figli"

A 28 anni dall'uccisione del Generale Dalla Chiesa, per ricordare un umile servitore dello Stato
3 settembre 1982 - 3 settembre 2010

sabato 21 agosto 2010

Gli anni Settanta erano di Destra

Da "CANTI RIBELLI"

Si solleva il velo di silenzio sugli intellettuali controcorrente. Storici e studiosi al lavoro sul cuore nero della cultura italiana. Da Leo Valeriano ai campi Hobbit la riscoperta di arte e passione.

C’è una fetta di cultura, di musica, di arte, di spettacolo del nostro Paese della quale per mezzo secolo è stata ufficialmente negata l’esistenza. È la cultura di destra, anche se chiamarla così appare fuorviante. Forse sarebbe più esatto chiamarla «cultura alternativa», ma ognuno può definirla un po’ come gli pare. Tanto il risultato non cambia. Nella geometria dei «politicamente corretti» per certa gente proprio non c’era posto. Altrimenti cadeva tutto il castello dell’equazione: cultura uguale sinistra, ignoranza uguale destra pervicacemente affermato per anni dagli intellettuali organici del Pci. Negli anni Settanta, ma anche prima e dopo, non sono esistite solo le manifestazioni d’arte legate al cosiddetto «arco costituzionale» ma, per fortuna, anche iniziative di altro sapore e colore. Ma mentre le manifestazioni della sinistra extraparlamentare hanno trovato un riconoscimento (e qualche volta anche l’approvazione) ufficiale, quelle di segno opposto venivano sistematicamente ignorate. Così cantanti del calibro di Leo Valeriano (ma non solo lui) tenevano concerti, pubblicavano dischi, animavano dibattiti, ma tutti rigorosamente «dal vivo».

Mai un’eco sulla stampa (quella di grosso calibro), o in tv (allora c’erano solo Rai1, Rai2 e, dal 1979, anche Rai3). Ma la vita vince sempre, come diceva il protagonista di «Jurassic Park» e a trenta e più anni di distanza, cascato il muro di Berlino, sfracellato l’impero Sovietico, vaporizzato il Pci, seppellita l’ascia di guerra insieme a falce e martello… ecco che riappaiono «i fantasmi del passato». Un termine preso in prestito dalla canzone «Il mio canto libero», di Lucio Battiti, che fu, ed è ancora, il più completo e conosciuto di quegli artisti «non allineati». Ma non l’unico. Arrivano in questi giorni in libreria due saggi che sollevano il velo di sconclusionato silenzio che per anni ha coperto interessanti manifestazioni culturali che non piacevano ai santoni dell’«arco costituzionale». Uno è dedicato alla musica e, più generalmente, allo spettacolo: «Il nostro canto libero. Il neofascismo e la musica alternativa: lotta politica e conflitto generazionale negli anni di piombo», un testo ampio e complesso (circa 300 pagine), Castelvecchi editore, 22 euro. Scritto a quattro mani da due studiosi: Cristina Di Giorgi e Ippolito Edmondo Ferrario è un approfondito resoconto dei fermenti culturali, chiamiamoli di destra, che animarono i ‘70. Nel silenzio più totale.

Da band musicali come «La Compagnia dell’Anello» e «Gli Amici del Vento» a cabarettisti importanti, come Pippo Franco, è descritta la storia di una cultura che si è mossa tra i prati dei Campi Hobbit alle cantine del centro storico della Capitale. Tutta gente che faceva venire l’orticaria ai tromboni organici dell’intellighenzia rossa. Così nei Settanta capitava di vedere in tv un giovanissimo Nanni Moretti azzuffarsi (verbalmente per carità) con Mario Monicelli (è accaduto nel 1977). Ma che oltre alla cultura «gruppettara» di sinistra ce n’era una altrettanto vigorosa di diverso colore non lo diceva nessuno. Oggi c’è un problema: così la politica di destra che cresce e si afferma sempre di più rischia di sembrare atterrata come un disco volante da un altro pianeta. E non è così: quei fermenti esistevano, sono cresciuti e hanno dato frutti. Che vediamo oggi. In alcuni casi anche in modo plateale e gioioso, come quando Renata Polverini, appena eletta presidente della Regione Lazio, ha cantato in piazza, a squarciagola, in modo sacrosanto e liberatorio (anche se un po’ stonato) «Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi», di Battisti.

Decisamente più politico «Fuori dal cerchio. Viaggio nella destra radicale italiana», un «mattone» da 380 pagine del professor Nicola Antolini. Uno storico «fu comunista» che, con un’impostazione rigorosamente scientifica, ha analizzato attraverso delle interviste il «cuore nero» che negli anni Settanta animava la vita profonda di molte città. Scrive Antolini: «Spesso la storia tende a plasmarsi su forme diverse, a seconda di chi la racconta. Non solo le interpretazioni e le teorie, ma anche le ricostruzioni dei fatti possono differire di molto nelle diverse versioni». La parola «revisionismo» è brutta, ma necessaria. Fino a poco tempo fa è stata raccontata una storia alla quale manca un pezzo e non solo per l’immediato Dopoguerra. Oggi si comincia a riappiccicare «quel pezzo», anche se ai tromboni organici, questo, ancora fa venire l’orticaria. E si comprassero una crema.

Antonio Angeli
Il Tempo – 11/08/2010

mercoledì 18 agosto 2010

Ciao Presidente...


Ieri, nel primo pomeriggio, è morto il presidente emerito Francesco Cossiga. Aveva 82 anni e dal 9 agosto era ricoverato presso il l'ospedale Gemelli.
E' andato via un simbolo della Prima Repubblica, che ha dato un grande contribto per l'avvio della Seconda. Fu impegnato fin da giovane in politica con la Dc e nel 1958 fu eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati. Il soprannome di "picconatore" gli fu assegnato dopo un'intervista di fine anni '80, dove dichiarò di voler prendere a picconate il sistema politico del tempo. La fermezza fu uno dei tratti più famosi della politica di Cossiga. E' stato Ministro dell'Interno durante il sequestro di Aldo Moro, suo maestro politico e amico personale dell'ex Presidente; dopo il ritrovamento del corpo di Moro, presentò le sue dimissioni irrevocabili.
E' stato controverso, come solo i grandi politici riescono ad essere. Porta via con sè molti segreti, tra cui quello sulla strage di Bologna.

martedì 10 agosto 2010

Spazio Identitario aderisce alla petizione lanciata da Giovane Italia Roma




Spazio Identitario aderisce alla petzione contro la mafia lanciata da Giovane Italia Roma. La comunità giovanile ha deciso di portare avanti il progetto dei ragazzi di Roma. Il motivo è uno solo: sognamo un'Italia libera dalla mafia. E' arrivato il momento dei giovani, siamo noi che dobbiamo ribellarci contro chi aiuta la criminalità organizzata.
La petizione può essere firmata da tutti i cittadini e cittadine italiane che hanno compiuto il diciottesimo anno d'età.
Il nostro obiettivo è quelo di negare il diritto di voto per i condannati per reati di stampo mafioso, negare il diritto di candidatura per i condannati di reati di stampo mafioso e divieto d'accesso a riti alternativi che prevedono la riduzione della pena agli imputati per mafia.
Spazio Identitario organizzerà diversi banchetti, le gente potrà firmare e dare il proprio contributo per liberare l'Italia da un male che la affligge da troppo tempo.

lunedì 26 luglio 2010

Il profumo della libertà: un libro racconta l'eredità di giustizia di Falcone e Borsellino ai giovani italiani

«Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo». Questa la frase del magistrato antimafia Paolo Borsellino, che campeggia come sottotitolo sulla copertina del libro dal titolo “Il profumo della libertà”, una raccolta di memorie e testimonianze dedicate alle figure dei giudici Falcone e Borsellino, vittime della mafia. Il volume è stato presentato questa mattina dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, durante la trasmissione di Rai 1 “Uno mattina Estate”.

La pubblicazione del libro, interamente curata dal Ministero della Gioventù, avviene a diciotto anni esatti dalla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita Borsellino e gli uomini della sua scorta, e ha come scopo quello di tenere viva, anche tra i giovani che non li hanno conosciuti, la memoria di due eroi italiani, giunti sino all’estremo sacrificio per difendere lo Stato e i suoi valori dalla minaccia della mafia e della criminalità organizzata.

“Il profumo della libertà”, arricchito dalla prefazione del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, dalla toccante lettera di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, dall’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, e da un’intervista all’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, raccoglie numerosi contributi di chi è stato collega di Falcone e Borsellino e di chi oggi ne raccoglie l’eredità.

Il volume, per iniziativa del ministero della Gioventù, verrà regalato a tutti i responsabili degli uffici giudiziari italiani; a tutti magistrati palermitani; a tutti i consiglieri regionali siciliani; ai vincitori degli ultimi cinque concorsi in magistratura; ai vincitori degli ultimi concorsi nelle forze di polizia; alle associazioni giovanili italiane, in particolare quelle che si occupano di lotta alla criminalità organizzata, e alle organizzazioni universitarie; a tutte le biblioteche italiane ed a tutti i presidi di tutte le scuole secondarie superiori italiane, per l’inserimento nelle biblioteche d’istituto.

Già da oggi, però è possibile sfogliarlo e scaricarlo direttamente da Internet all’indirizzo www.ilprofumodellaliberta.it. Qui il volume verrà progressivamente arricchito di nuovi contributi lasciati da preziosi protagonisti della lotta alla mafia. “Il profumo della libertà” non è però solo un libro o sito web, ma vuole rappresentare una vera e propria piattaforma viva e partecipe di legalità e di sensibilizzazione dei giovani italiani verso una quotidiana lotta al sopravvivere della mentalità mafiosa.

SFOGLIA E SCARICA "IL PROFUMO DELLA LIBERTA'"

lunedì 19 luglio 2010

In ricordo di Paolo...


Come ogni anno si celebra la morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, massacrati da un gruppo di infami senza scrupoli. Con lui ricordiamo tutte le vittime della mafia, che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di denunciare il più corrotto dei sistemi. Nella lotta alla mafia il colore politico non deve essere considerato, in nome di chi ha combattuto il male arrivando fino all'estremo sacrificio per realizzare il sogno di un'Italia migliore. C'è bisogno di pulizia: devono essere puliti i partiti di qualsiasi colore, i tribunali e i commissariati, le strade e le stanze dei bottoni. DISTRUGGIAMOLI!

ITALIA LIBERA DALLA MAFIA!!

giovedì 15 luglio 2010

Reggio 1970: la destra popolare che capiva il sud


FONTE: Secolo d'Italia

di Marco Iacona

Quarant’anni fa – il 14 luglio 1970 – iniziava la rivolta di Reggio Calabria. La protesta popolare più nota del nostro dopoguerra con cinque vittime, centinaia di feriti e danni ingentissimi. La durata dei fatti, quelli di una certa importanza, fu di sette mesi (dal luglio 1970 al febbraio 1971) e la causa che vi diede luogo di rilievo storico: la decisione presa dall’alto di collocare il capoluogo di regione del neocostituito ente regione Calabria non a Reggio Calabria ma a Catanzaro. In molti ricorderanno che la destra del tempo – in primo luogo col suo sindacato di riferimento la Cisnal – s’impegnò a sostenere le ragioni dei cittadini di Reggio. Uno dei leader della rivolta fu infatti quel Francesco (o Ciccio) Franco, morto nel 1991 e ricordato da un busto sul lungomare della città dello Stretto, che per l’occasione si appropriò dello storico motto “Boia chi molla”.
La vera origine di una locuzione divenuta strafamosa grazie anche a Franco (ma di derivazione risorgimentale o forse dannunziana) è peraltro incerta almeno fino ai ’40, gli anni del tenente carrista Roberto Mieville, prigioniero nel Fascist’s Criminal Camp di Hereford in Texas, poi dirigente giovanile missino e fra i primi parlamentari del Msi. Fu in quel periodo infatti (Mieville morì nel 1955 per un incidente stradale) che la frase entrò a far parte degli slogan ricorrenti nel Msi, come un invito piuttosto virile a tenere duro per superare le avversità. Da allora attraverso il crinale degli anni ’60 e ’70, fino agli anni ’90 e oltre, “Boia chi molla!” (col punto esclamativo) è diventato uno dei motti identificativi della destra nelle sue derivazioni movimentiste. La rivolta dei “boia chi molla” di Reggio ha aperto così in tutti i sensi gli anni ’70. Il periodo nel quale le istituzioni non riuscirono più a soddisfare le attese provenienti dal “basso”, quelle medesime istituzioni che negli anni seguenti, com’è noto, finiranno per vacillare. Era ovvio naturalmente che senza l’attribuzione del “pennacchio” (cioè del capoluogo di regione della Calabria) i reggini dopo esser stati solo sfiorati dal boom economico fossero tagliati fuori dai vantaggi che la “promozione” a capoluogo di regione poteva apportare loro. E cioè: posti di lavoro certi e un indotto tutt’altro che trascurabile. I partiti e la triplice sindacale non comprendevano fino in fondo la voglia di riscatto dei cittadini che chiedevano di non essere spogliati di prerogative che storicamente gli erano appartenute. Lo stesso sindaco democristiano Pietro Battaglia si era trovato in una situazione difficile; fra l’incudine della politica e il martello dei manifestanti, era stato lui stesso a guidare le prime proteste cittadine prima che la situazione degenerasse. Ma era stato tutto inutile. A Reggio, oltre alla destra parlamentare e non, si erano dati appuntamento “da sinistra” anche quelli di Lotta Continua, che speravano anche loro di poter interpretare una vera rivolta di popolo. Adriano Sofri e i suoi più stretti collaboratori erano scesi a Reggio cercando di partecipare all’evento e facendo affiggere in tutta Italia un manifesto: “Reggio capitale per uno scontro con lo Stato”. «Qui – sostenne Sofri – ci sono ottime prospettive rivoluzionarie». I protagonisti della sommossa di Reggio provenivano infatti da “culture” diverse ma unite da certo credo movimentista. Così, come ha scritto Giano Accame nel suo Una storia della Repubblica: «Sorsero barricate, ci furono morti, il governo giunse a impiegare reparti militari, le donne dei quartieri popolari impararono come gli studenti del centro-nord a confezionare bottiglie incendiarie da lanciare contro la polizia. Contribuì non poco ad eccitare gli animi il sindacalista missino Ciccio Franco coi suoi “boia chi molla!”, ma in un contesto che comprendeva esponenti democristiani e gente di tutti i partiti». A capeggiare la rivolta e a proclamare lo sciopero generale a oltranza c’era infatti un “comitato d’azione” trasversale, piuttosto intransigente e guidato da Franco. I “nemici” se così vogliamo chiamarli erano i rappresentanti nazionali nati in Calabria di quella coalizione di centrosinistra che guidava il paese da una manciata di anni: il Dc Riccardo Misasi e il socialista Giacomo Mancini entrambi cosentini, e interessati più alle esigenze della loro città e molto meno alle sorti di quella Reggio che non poteva vantare rappresentanze di altrettanto peso all’interno del Parlamento. Questa era dunque la “brutta” politica che l’inedito movimentismo da destra intendeva scardinare. Così il 14 luglio 1970 dopo un comizio del sindaco Battaglia e del consigliere provinciale missino Fortunato Aloi (era stato proclamato lo sciopero generale contro l’insediamento seppur provvisorio dell’Assemblea regionale a Catanzaro), e dopo una carica della polizia inizierà la vera e propria rivolta popolare. I manifestanti occuperanno strade e ferrovie. Il primo vero scontro non sarà a Reggio ma a Villa San Giovanni il porto dal quale partono i traghetti per la Sicilia. A far degenerare il clima poi sarà la notizia che le forze dell’ordine hanno operato alcuni fermi. La destra missina invece dopo un iniziale tentennamento, cavalcherà la protesta con motivazioni più che altro politiche. E gli alti poteri come si comporteranno? I sindacati della triplice sono passati da un atteggiamento di “disimpegno” a uno di dura critica. Gli organi di stampa italiani invece sono come spiazzati, molti di loro parleranno di “azioni teppistiche” e basta; l’agenzia sovietica Tass in quel periodo parlerà invece di un’azione “fascista” tout court, nel chiaro tentativo di screditare una protesta che andava oltre le logiche degli apparati di partito. Nei giorni, tuttavia, la protesta sfiorerà punte di massima tensione: a cominciare dal deragliamento del Treno del sole, il Palermo-Torino all’altezza di Gioia Tauro con sei morti (22 luglio), con l’occupazione dell’Università di Messina, con i proclami “secessionisti” (e la Repubblica di Sbarre, che era il quartiere di Ciccio Franco), con l’assalto alla Camera del lavoro e con l’arresto di Franco e di altri dimostranti. Dopo il giro di boa del nuovo anno (12 febbraio 1971), il governo presieduto da Emilio Colombo, in emergenza soprattutto per questioni finanziarie e per la legge sul divorzio, deciderà però di correre ai ripari. I cittadini di Reggio e zone limitrofe hanno avuto il loro tempo per “sfogarsi” e le logiche della politica tornano a dettare legge. Il risultato dei provvedimenti governativi però sarà un qualcosa a metà strada fra una “saggia” mediazione e una colossale presa in giro. Alle tre città più importanti della Calabria verranno assegnate prerogative importanti, almeno sulla carta. A Catanzaro rimarrà il “pennacchio” cioè sarà ufficialmente capoluogo e sede della giunta regionale. Cosenza sarà sede universitaria, mentre Reggio avrà il contentino della sede dell’Assemblea regionale. Ma c’è di più. Il governo prometterà di costruire a Gioia Tauro un centro siderurgico e a Saline (entrambe vicino Reggio) uno stabilimento Liquichimica. Sulla carta sarà quasi un pareggio... E i veri frutti? Le proteste andranno avanti ancora per molti mesi. Il polo industriale calabrese non decollerà mai, né a Gioia Tauro ove verranno abbattuti quasi inutilmente ettari di oliveti e agrumeti, né a Saline. A distanza di quarant’anni dunque, a reggere saranno solo i ricordi delle azioni di forza guidate da Ciccio Franco. L’ex sindaco reggino Giuseppe Scopelliti nel 2006 lo definirà per il coraggio e la brillantezza mostrata sul campo un «modello per la destra di oggi».

mercoledì 14 luglio 2010

Meloni al Campo Cyrano:"I giovani siano rivoluzionari"

Il contesto è quello del Campo Cyrano 2010, svoltosi dal 9 al 11 luglio a Sorrento. Secondo il ministro Meloni la gioventù deve essere RIVOLUZIONE. Deve riuscire a garantire il futuro a coloro che verranno dopo di noi. La gioventù deve essere FUTURISMO: non basta difendere il passato, ma bisogna creare un movimento che venga ricordato nella storia. E' arrivata l'ora di FARE L'ITALIA!

lunedì 12 luglio 2010

Meloni contro il Pdl:"Cattivi con me"


Fonte : Il Tempo

Per giorni non ha parlato. È rimasta in silenzio, ha preferito evitare le polemiche. Poi è andata dai ragazzi, i suoi ragazzi che avevano organizzato il Campo Cyrano in penisola sorrentina. E qui, lontano da Roma e dalle polemiche di questo giorni s'è lasciata andare. Uno sfogo in piena regola quello di Giorgia Meloni al termine di una settimana che ha visto lo scontro violento sul suo disegno di legge sulle comunità giovanile. La ministra della Gioventù è finita sotto il tiro incrociato dell'Italia dei Valori (con rissa finale) e delle critiche provenienti dal suo partito: Martino, Mussolini, Barbareschi in testa. Ma anche Di Girolamo e Perina. La Meloni così passa all'attacco e con voce un po' rotta dall'emozione racconta (mentre è stato azionato un microfono) gli ultimi giorni: «Mi sono interrogata molto su quello che è accaduto perché è stato un fulmine a ciel sereno».


Ripercorre i passaggi istituzionali, il dibattito con i ministri, le Regioni, il partito, in Commissione. Si ferma, deglutisce. E riprende il racconto: «Poi è accaduto qualcosa di strano in Aula con un atteggiamento da parte delle forze di minoranza molto costruttivo, il centrosinistra non era favorevole ma aveva lavorato per migliorare. L'Udc aveva dato una disponibilità e era sostanzialmente favorevole al provvedimento: ha votato contro la sospensiva chiesta dall'Italia dei Valori e il Pd si era astenuto». Poi, mentre sembrava regnare un clima sereno, la sorpresa. «È accaduto invece che alcuni esponenti del Pdl abbiano dato vita a un'opposizione molto forte» dice la Meloni. Che si ferma. Aggiunge: «Molto cattiva». «Ci sarebbero tante cose da dover dire su quelli che hanno fatto questa opposizione - spiega la titolare della Gioventù - perché sono motivazioni diverse che spingono singoli soggetti. In realtà noi parliamo di una minoranza rumorosa mentre la stragrande maggiorana del Pdl stava votando serenamente il provvedimento come quando si fa gioco di squadra».


Mette subito in chiaro: «Non farò nomi e cognomi, ognuno ha le sue motivazioni e quasi mai sono motivazioni ideali. In alcuni casi sì, c'è chi ha un'impostazione culturale diversa dalla mia ma siamo a una parte poco consistente di questa storia». Comincia ad alzare la voce e passa all'attacco: «Mi interessa a un'altra questione. Siccome trattavamo di una questione che viene considerata sacrificabile dalla politica, cioé le giovani generazioni, è il classico disegno di legge sul quale ciascuno pensa di sfogare tutte le proprie difficoltà, tutte le proprie insoddisfazioni. È quello che è accaduto in Aula fino di fatto a tentare di bloccare il provvedimento». S'inalbera, urla ai suoi ragazzi: «Mi prendo la responsabilità. Questa legge la portiamo a casa, fosse l'ultima cosa che faccio». Partono gli applausi, i giovani del campo si scaldano e lei si fa prendere la mano. Riattacca: «Non la portiamo a casa perché è una battaglia storica di un certo mondo. Noi la portiamo a casa perché un certo mondo ha fatto quella battaglia storica perché era giusta. Qui non è che stamo a ffa' 'na battaglia sentimentale».


Ancora applausi, la Meloni non molla: «Credo davvero che le comunità giovanili possano essere una risposta seria, credibili, la prima data nella storia della Repubblica dalle istituzioni al grande tema del disagio giovanile. Tutti dicono che se ne interessano e poi se ne fregano». Tende la mano ai critici assicurando che «ci sono dei margini». Ma avverte: «Le tante dietrologie sono venute fuori perché oggi può sembrare strano che uno faccia qualcosa solo perché lo considera giusto, è la sfida delle idee che diventano azioni». Infine conclude: «Qualcuno ha detto che non ha senso spendere 12 milioni di euro per i giovani. E qui c'è una grande questione culturale e politica. Io penso che invece ne valga la pena perché mi pongo il problema di che cosa lascerò dopo di me. E non me ne frega niente se questo mi porterà più o meno voti».

sabato 10 luglio 2010

Chi nel Pdl mi critica si prenda la responsabilità di abbandonare i giovani

Lettera di Giorgia Meloni (Ministro della Gioventù) a "Il Giornale"

Caro Direttore, leggendo oggi la rassegna stampa mi rendo conto di come gli insulti, le risse e le sceneggiate napoletane verificatesi in Parlamento rischino di coprire la sostanza del ddl del governo sulle Comunità Giovanili, sul quale vorrei provare a fare chiarezza.
Le Comunità Giovanili non sono altro che centri per l’aggregazione dei giovani. Spazi comunali, caserme in disuso, immobili confiscati alla criminalità organizzata, in cui una libera associazione possa svolgere attività di vario tipo. Dallo studio al teatro, dalla musica ai cineforum, dallo sport al volontariato, e molto altro. Il tutto in un contesto democratico di elettività delle cariche direttive, trasparenza nei conti, legalità, assenza di fini di lucro. Tutto qui. Eppure, in queste ore mi è toccato ascoltare una serie incredibile di falsità da parte di esponenti politici chiaramente in malafede o troppo pigri per leggere il disegno di legge. Particolarmente, brucia l’accusa rivoltami di voler destinare fondi a non si sa bene quale realtà amica. Il ddl non stanzia nuovi fondi al mio ministero: i fondi ci sono già, stanziati anni fa proprio per le Comunità Giovanili. Io avrei potuto utilizzarli senza una legge. Invece ho scelto di vincolarli perché possano dare vita a qualcosa capace di sopravvivere al governo Berlusconi o al ministro Meloni. E ho scelto di confrontarmi col Parlamento affinché questa novità fosse il più possibile condivisa. Poi si può anche dire, come ha fatto qualcuno con espressioni infelici, che in tempo di crisi questa idea per i giovani sia troppo generosa o statalista. Legittimo. A patto che mi si spieghi quale grande emergenza nazionale si risolverebbe con 12 milioni di euro. A patto che nessuno si azzardi più a parlare di «disagio giovanile», «prevenzione sociale», «emergenza educativa» con grandi promesse in campagna elettorale. Questa legge non risolverà il problema del lavoro che non c’è, degli stipendi precari e da fame o della pensione, ma è la prima legge a loro dedicata da almeno tre legislature. È curioso che i più fervidi oppositori del provvedimento, a parte le abituali volgarità di Idv, siano stati alcuni parlamentari Pdl. Investire pochi milioni di euro per dare a migliaia di giovani un’alternativa alla droga e alla criminalità è così vergognoso? Io penso di no e intendo andare avanti. Del resto, sono solo una persona coerente che non dimentica da dove viene. Racconto questo sogno delle Comunità Giovanili nelle piazze e nelle assemblee studentesche fin dai tempi del liceo. Continuo a farlo da ministro, con la passione di chi crede in quello che fa. Non c’è solo una bella storia politica a supportarmi in questo impegno o la solidarietà generazionale che mi si è riversata addosso in queste ore. C’è anche una promessa fatta a Scampia, in mezzo a palazzoni scrostati e un’aria pesante come il piombo, di fronte a un nugolo di studenti che meriterebbero la nostra mobilitazione, piuttosto che vedere il Pdl scaricare sui giovani, l’anello debole di questo tempo vigliacco, la propria difficoltà a risolvere i conflitti interni.

Per leggere il DDL sulle Comunità Giovanili
clicca qui

venerdì 9 luglio 2010

Aurora - Lo studente



Signor professore Lei sa che cosa e' giusto
Perdoni il mio ardire e non mi guardi con disgusto
Se sabato scorso la scuola ho marinato
E' perche'‚ ad un gran corteo di studenti sono andato
Per dire ad un ministro inebriato dal potere
Che non basta una riforma per comprare il mio sedere
Quel cinque in italiano e' una cosa scorretta
Lei pensi quel che vuole ma rispetti la mia lotta
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male
E se dico che quegli anni ci insegnano qualcosa
Che non sono affatto bui ma anzi un'alba assai radiosa
E se i suoi diciotto anni son Valle Giulia ed il sessantotto
Non si permetta di dir niente se per il mio ideale lotto
Io voglio sol difendere la mia gente e la mia storia
Da tutti quei bastardi cui da fastidio la memoria
In fondo cosa dire, sono solo uno studente
E voi siete in tanti a dir non me ne frega niente
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male
Signor professore oramai lei mi ha stufato
Non posso più restare a guardare ammutolito
Le sue belle lezioni di storia e di morale
Dirci cos'e' il giusto e come estirpare il male
Ormai io ho capitoo qual e' il suo sporco gioco
A plagiar giovani menti ci si mette poco
Infondo do fastidio e me ne rendo conto
Come non giustificare chi mi vorrebbe morto
Quei figli del potere e delle sue dottrine
Scagliati sul ribelle pronti con le ghigliottine
Che mi aspettano all'uscita di scuola o sul portone
Per far giustizia nel nome del padrone
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male!!!

mercoledì 23 giugno 2010

Parlare di Padania sul baratro del nulla


FONTE: Fare Futuro Web Magazine

La Padania «non esiste, è un’invenzione che va contro l’unità del paese». O meglio, «è uno slogan» di successo. No, «non c’è lo stato padano, ma la Padania esiste». E poi, se è un’invenzione «lo sono anche il Sud e la questione meridionale». La Padania «è sempre esistita nella storia» e «nella realtà socio-economica» (i voti lo confermano). La Società geografica italiana smentisce: «la Padania come spazio etno-culturale omogeneo non esiste». Replica: «Chissà cosa dovremmo dire, allora, delle differenze etnico-storico-culturali che esistono tra la Padania e le altre parti del paese!». Di più: «Nel 1847 il Principe e cancelliere austriaco Metternich affermò che l’Italia altro non era che un’espressione geografica, e non, quindi una realtà coesa». Milano, Venezia e Torino devono di conseguenza diventare “capitali”. Del resto, il capoluogo lombardo non può allontanarsi dalle radici che «ha nella storia padana, italiana e mondiale». Il Pdl milanese smentisce la Lega milanese: meglio «non rifarsi all’inesistente storia della Padania ma a quella reale di Milano». Il tutto è «roba da psichiatria più che da politica: più che la razionalità servirebbe infatti un buon medico». Nel frattempo viene nominato – non si sa per quale motivo – un “ministro del federalismo” che Bossi immediatamente disconosce («sono io l’unico ministro del federalismo, il federalismo lo facciamo io e Calderoli») e che solleva malumori tra la parte padana e quella italiana della maggioranza. Perfino Gasparri si espone: «Lo stimo ma non serviva». Insomma, anche il federalismo esiste (con tanto di ridondanza) e non esiste (nessuno ha ancora ben capito di che si tratti). Proprio come la Padania. Chissà se qualcuno prima o poi canterà “federalismo libero”, o “federalismo indipendente”.Dall’ontologia alla tattica: la Padania esiste nel primo articolo dello statuto della Lega Nord, che «ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana». Democratici, ma solo finché conviene: da un lato, infatti, «So quanti di voi sono pronti a battersi, anche milioni, ma ho scelto la strada pacifica rispetto a quella del fucile». Dall’altro, però, in «dieci milioni» sarebbero pronti a sollevarsi in difesa della Padania, «imbracciare i fucili» contro «la canaglia centralista romana». Del resto «per i fucili c’è sempre una prima volta»: sono «sempre caldi». Eppure i sondaggi dicono che soltanto il 40% dell’elettorato sarebbe pronto alla “rivolta” per la “secessione”. Contando un 12% dei votanti, e tenendo conto che a votare si è presentato il 64,2% degli aventi diritto, dopo due rapidi e approssimativi calcoli si arriva a poco più di 2 milioni di persone. Chissà, forse i più guerrafondai si nascondono tra i bambini e i non votanti. O forse i voti non dipendono affatto dal teatrino secessionista. E poi c’è l’inno: Mameli lo si ama «solo per legge“, mentre a scaldare i cuori è il Va’ Pensiero. Che così lo rimpiazza nelle cerimonie ufficiali – tutta colpa del “portavoce”, dice chi sfreccia con l’auto blu a 190 all’ora per “motivi istituzionali”. Nel frattempo Verdi (non v.e.r.d.i., sia chiaro) è la colonna sonora della nazionale che trionfa con il Kurdistan e vince per la terza volta i “mondiali dei popoli”. Una gioia immensa, rivela Renzo Bossi dal palco di Pontida, appena dopo l’annuncio dello speaker: «questa è la nostra nazionale». Lo sapevamo lo stesso: lo aveva fatto capire Radio Padania, esultando alla rete del Paraguay contro l’Italia ai mondiali sudafricani (quelli “veri”) – in cui gli azzurri batteranno sicuramente la Slovacchia, dice Bossi, «tanto la partita se la comprano» («il senatore ha passato il segno», ribatterà la FIGC). «Avete dato più importanza a 300 ascoltatori che a 21 milioni», tuona La Russa dopo aver ricordato che «Calderoli mi piace molto di più come ministro che come commentatore sportivo. Anche perché la sua conoscenza calcistica si limita alla vittoria della Padania su non so quale squadretta». Al calcio insomma non si chiedono “sacrifici” (non sono mica dipendenti pubblici o imprenditori che pagano le tasse). Daniele De Rossi dice che tiferà contro la Padania. Miss Padania invece che terrà per l’Italia: «Il Carroccio? Non so che cosa sia… E non conosco nemmeno Alberto da Giussano». Replica stizzita del senatore Cesarino Monti: «La bellezza non è sinonimo di intelligenza». E poi c’è Gigi Riva, che sostiene che «bisognerebbe intervenire, perché il nostro paese vive uno stato di confusione e di caos e alla lunga situazioni del genere potrebbero provocare problemi».Qualcuno a Napoli, ad esempio, potrebbe vietare l’ingresso e la pizza ai leghisti(“non sono graditi”), colpevoli di aver cantato – come al solito – «noi non siamo napoletani». Salvini quest’anno a Pontida ha taciuto (l’anno scorso intonò il coro «senti che puzza/scappano anche i cani/sono arrivati/i napoletani/son colerosi, terremotati/e col sapone non si sono mai lavati») – a parte l’ironia dopo il pareggio con la Nuova Zelanda («anche la figura di oggi è colpa di Radio Padania?»). Tosi ridimensiona: «Salvini scherza. Quando finirà di fare l’eurodeputato andrà alla Gialappa’s Band». La Confederazione Sud però non ha proprio gradito le parole provenienti dal “sacro prato” e dalla statua di Alberto da Giussano (ma sarà esistito poi?) alta dieci metri: «è un raduno di montanari», e bisognerebbe che i quotidiani e le televisioni del Sud boicottassero «le notizie che parlano della lega nord e dei padani: ignorandoli e dando più spazio ai soggetti locali e nazionali». Raffaele Lombardo si spinge fino a ipotizzare una secessione al contrario, da Sud: serve «Una formazione autonomista legata al territorio» che «potrebbe quindi pesare tanto quanto la Lega e la Sicilia tanto quanto la Padania». Del resto, l’Unità d’Italia «è virtuale, una invenzione, una falsificazione di cui prima o poi qualcuno avrebbe dovuto prendere atto, perché esistono almeno due Italie: quella ricca e quella povera, quella fortunata e quella emarginata, quella con la piena occupazione e quella con la piena disoccupazione». Cronache da un paese sospeso tra reale e virtuale, sul baratro del nulla.

mercoledì 16 giugno 2010

In ricordo di Francesco...


Oggi 16 giugno, si commemora la morte di Francesco Cecchin, militante del Fronte della Gioventù, che venne ucciso da militanti comunisti. Cecchin fu pestato e gettato da un parapetto nella notte tra il 28 e 29 maggio 1979, dopo diciannove giorni di coma morì. Purtroppo, come spesso accade, non è mai stata fatta giustizia e gli assassini di Francesco sono ancora in libertà e continuano a fare politica, come se niente fosse accaduto. Nonostante la loro impunità, i giudici indicarono che Cecchin non era caduto accidentalmente dal parapetto, come sostenuto da alcuni esponenti di Rifondazione Comunista, ma che vi era stato gettato. Con questa storia, vogliamo ricordare un ragazzo che fu ucciso per via delle sue idee, perché non aveva paura di esporle, perché era orgoglioso di appartenere al Fronte della Gioventù. Inoltre, vogliamo porre l’attenzione su di noi. Quando un ragazzo o una ragazza, dichiara in pubblico di essere di destra, viene subito guardato con occhi diversi. Intediamo far sapere che esiste ancora oggi una sorta di ghettizzazione, verso i giovani che si riconoscono negli ideali della destra. Ci chiediamo come mai siamo ghettizzati; la gioventù la viviamo come la vivono gli altri: andiamo a scuola, ci divertiamo con gli amici, andiamo a mare. Infine vorremmo lanciare una proposta: perché non intitolare una via ad uno dei ragazzi del FdG caduti durante gli anni di piombo?

venerdì 11 giugno 2010

La rivincita del "Fronte" su Facebook




di Giovanni Tarantino

Un album di famiglia a tutti gli effetti. I numeri dicono tutto: 2345 membri, 743 foto. Sono i dati significativi del grande successo riscontrato sul social network Facebook dal gruppo dedicato al Fronte della Gioventù, la storica organizzazione giovanile del Msi fondata quasi quarant'anni fa, alla fine del 1970. Il primo segretario nazionale fu Massimo Anderson, nel 1977 arrivò Gianfranco Fini, quindi Gianni Alemanno nel 1988. Adesso gli "anni del Fronte" rivivono alla grande su Facebook, segno dei tempi, grazie a un'idea del fondatore del gruppo, il palermitano Francesco Paolo Ciulla, che ha messo a disposizione della versione "on line" del FdG gran parte del suo materiale personale, così come è stato fatto da altri protagonisti dei tempi, come Ferdinando Parisella, attualmente in possesso del più grande archivio fotografico sulla stagione dei Campi Hobbit e non solo.
Dentro c'è praticamente tutto, dalle icone ai manifesti, dai volantini, alle tantissime foto private adesso rese pubbliche. Le battaglie, l'ironia, le feste: tutto raccontato attraverso immagini immortalate dagli allora militanti e simpatizzanti, che rendono, tuttavia, perfettamente onore al percorso compiuto da tanti giovani tra la fine degli anni Settanta fino ai primi Novanta. Naturalmente dentro c'è tutto il decennio degli Eighties: i Campi Hobbit e le imponenti manifestazioni studentesche, fino a giungere a quelle contro la mafia prima e dopo la stagione delle stragi del '92. E poi le discussioni, quelle che spiegano cosa c'era dietro ogni singola battaglia, le idee. Particolarmente gettonati gli amarcord sulle vecchie sezioni cittadine, spesso seminterrati che univano le sorti dei militanti di Palermo a quelli di Monza, Taranto, Bologna, e perfino di alcune sezioni romane. Non mancano le discussioni più marcatamente politiche, e così c'è chi ricorda con particolare entusiasmo quanto accaduto a Nettuno nel 1989, quando il Fronte della Gioventù venne alle cronache nazionali per la famosa manifestazione "gandhiana" di protesta contro George Bush senior. I ricordi, invece, sono pressoché infiniti: si va dal "primo libro" che è stato suggerito - dove a farla da padrone sono i vari Julius Evola, Yukio Mishima, John Ronald Reuel Tolkien, Ernst Jünger, ma anche
must del periodo come il saggio collettaneo a più mani del 1989 Le radici e il progetto (a cura di Annalisa Terranova e Isabella Rauti e scritti di Gianni Alemanno, Umberto Croppi, Peppe Nanni, Andrea Augello, Fabio Granata e tanti allora dirigenti o ex dirigenti del Fronte - al cosiddetto «battesimo del fuoco», ovvero i primi volantinaggi, o le prime affissioni di manifesti, possibilmente notturne. I quali, a loro volta, sono emblematici di tutta un'epoca: non mancano quelli a favore della Palestina libera, così come quelli contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan o a favore della Croazia, né tanto meno, per rimanere in ambiti internazionali quelli contro la dittatura polacca del generale Jaruzelski. È fortissima, comunque, la presenza di riferimenti alla lotta politica contro la mafia, specie a cavallo della stagione delle stragi, quella della primavera e dell'estate del 1992. Dominava le scene Fare Fronte, l'organizzazione studentesca del FdG che mutuava il suo simbolo, il labirinto celtico, dal Grece di Alain de Benoist & Co.
Fare Fronte si contraddistinse per lo spirito di avversione nei confronti di Cosa Nostra: celebri le manifestazioni, ben rappresentate nelle foto, con lo striscione al seguito «Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino», scritta che, successivamente, avrebbe anche caratterizzato alcune magliette. Il nome di Paolo Borsellino ricorre spesso, non a caso. La frase di presentazione del gruppo è proprio una delle più famose dichiarazioni che il magistrato palermitano, negli anni Sessanta, quando era uno studente universitario di Giurisprudenza, vicino al Fuan-Fanalino, assassinato il 19 luglio'92, rese alla Festa nazionale del Fronte della Gioventù del settembre 1990, svoltasi a Siracusa: «Potrei anche morire da un momento all'altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono... ecco, in quel caso non sarò morto invano». Non è causale che la foto di presentazione del gruppo, scattata proprio alla festa nazionale del Fronte del 1990 che si svolse quell'anno a Siracusa, ritragga, da sinistra verso destra, Paolo Borsellino, Giuseppe Tricoli, Gianni Alemanno e Fabio Granata.
Non manca, nelle foto del gruppo, il colore e l'immaginario. Chiaramente, verrebbe da dire: quegli anni Ottanta erano i tempi di certe grafomanie fumettistiche e non solo. Topi di fogna, ciclostilati, manifesti a fumetti come quelli inventati da Sergio Caputo, Umberto Croppi o Maurizio Guercio. La croce celtica, poi, veniva riprodotta ovunque e in qualunque maniera: da quella classica nera, su cerchio bianco e sfondo rosso, a quelle improvvisate a Milano, nere su sfondo giallo, che, magari inconsapevolmente, riprendevano il motivo delle primissime bandiere con le celtiche introdotte in Italia negli anni Sessanta dal movimento transnazionale Jeune Europe. E ancora croci celtiche azzurre, per rimarcare lo spirito europeista, quelle tutte rosse, per creare un po'di confusione situazionistica, e addirittura rosa e nere, perché anche i ragazzi del Fronte, la domenica … frequentavano gli stadi. Diverse le mutazioni che quel Fronte della Gioventù anni Ottanta prese a prestito dai fratelli maggiori che a inizio decennio avevano dato vita ai Campi Hobbit, iniziando il percorso che avrebbe animato la Nuova destra. Su questa fase del movimento giovanile missino ha scritto la giornalista Annalisa Terranova, studiosa del periodo, in merito al quale ha pubblicato il libro
Planando sopra boschi di braccia tese(edizioni Settimo Sigillo), sottolineando il fatto che i dirigenti del Fronte mutuarono via via dalla Nuova destra tarchiana «un'esigenza di metodo: rompere gli steccati, uscire dalla faida generazionale e costruire nuove sintesi». Per sottolineare: «L'esperienza della Nuova destra e l'avventura di Marco Tarchi e dei giovani intellettuali che stavano abbandonando le file missine hanno posto sul tappeto in bella evidenza il problema del consenso, della conquista di un'egemonia culturale nella società civile come via per legittimare e rendere credibile la presenza politica. Dietro l'espressione gramscismo di destra, che sembrava tanto pericolosa ai guardiani di un'ortodossia da museo, non si celava altro che questo. Il seme gettato darà un duplice frutto: l'allontanamento da ogni velleitarismo autoritario e l'ambizione di creare un metodo nuovo per agganciare adesioni».
Quanta strada venne poi fatta da allora. I protagonisti di quelle foto hanno dei nomi che hanno contribuito a rilanciare Fronte della Gioventù. A Roma con Gianni Alemanno, Andrea Augello, Paolo Colli, Fabio Rampelli e gli altri, a Milano con Paola Frassinetti e Marco Valle, in Sicilia con Fabio Granata e Pietrangelo Buttafuoco. Sarà la stagione della partecipazione al corteo unitario degli studenti a Roma il 16 novembre 1985, quei ragazzi dell'85 venuti alle cronache giornalistiche del tempo, come peraltro è testimoniato da stralci di giornale recuperati dal gruppo Facebook, del rientro di tremila studenti "di destra" a Valle Giulia il 20 dicembre 1986, delle manifestazioni antinucleari di Fare Verde, del dialogo nei meeting romani del Raduno della Contea con vari esponenti radicali, verdi, cattolici, socialisti e di sinistra, delle liste universitarie dell'89 e '90 messe insieme ai ciellini e ai Verdi, di nuovi temi come la "logica del superamento" e l'adesione alle tematiche dell'etnopluralismo e del superamento dell'occidentalismo.
Non manca il ricordo degli amici scomparsi, in circostanze tragiche quanto note, Sergio Ramelli e Paolo Di Nella su tutti, e poi Stefano Recchioni, Francesco Cecchin e tanti altri ragazzi dei Settanta vittime del peggior decennio della nostra storia. Così come non mancano i riferimenti ai leader misini, apprezzati e/o a volte boicottati, Almirante e Rauti. Allo stesso modo è ben presente l'allora giovane Gianfranco Fini: le foto rendono ben visibili certi cambiamenti estetici, dai lunghi cappotti blu e gli occhiali a goccia, molto "vendittiani", fino ai vestiti che lo hanno accompagnato negli anni di maggiore visibilità. Non è il solo ad avere cambiato look: le immagini, in fin dei conti, certificano l'abbandono graduale di alcuni da mise giovanili e ribellistiche, come la sciarpa araba kefiah, passando per mocassini da paninari o Clarks da compagni, fino a giungere a maglioni casual. Non solo «Europa, nazione, rivoluzione», quindi: in fondo anche questo è stato il Fronte della Gioventù. Se ne riparlerà probabilmente a dicembre in occasione del quarantennale della fondazione del Fronte.

Meloni: "La corruzione è un male contagioso pene più dure per politici e colletti bianchi"





Ministro Meloni, la sua casa?

“Cosa?”
Se l’è pagata da sola?
“Sì, 370mila euro con mutuo..:”
Un po’ poco…“Poco? Sono 50 metri quadrati sull’Ardeatina. Quando lo dico ai miei amici non ci credono, mi devo quasi giustificare per il prezzo alto: guardate che è molto carina, c’è una bella vista”.
Anemone lo conosce?
“No”
Bene, in tanti lo conoscevano però. Forse troppi non crede?
“Io sono una delle persone più rigide sulla questione morale, noi che veniamo dalla destra non facciamo sconti su questo. Ma stiamo attenti a non fare di tutta l’erba un fascio: per quanto certi episodi di corruzione possano essere diffusi, restano comunque una minoranza. E poi quanti sono su questa lista Anemone, 400 nomi? Magari domani si scopre che non tutti si sono fatti fare i lavori gratis”.
Ma quello che viene fuori è un sottobosco di favori reciproci, ben remunerati, a danno dell’erario. Una ragnatela di corruzione diffusa…
“Sicuramente in Italia, e non da oggi, c’è un andazzo diffuso. La corruzione è un fenomeno contagioso e, se non si fa nulla, dilaga. Per questo va stroncata in maniera esemplare”.
Basterà il disegno di legge anticorruzione del governo? Per l’opposizione è solo acqua fresca.
“Il governo deve dare segnali chiari. Il provvedimento va rafforzato e approvato immediatamente”:
Rafforzato come?“Ci vogliono pene più dure per i reati dei colletti bianchi e i politici corrotti vanno colpiti più degli altri. Non possiamo permetterci che passi l’idea che i politici sono tutti uguali e sono tutti ladri: la politica va salvata, resta la più bella forma di impegno civile. C’è poi la grande questione delle gare secretate, così non vanno bene, servono maggiori controlli”.
Colpire i politici corrotti, ma come?
“Sogno una norma che preveda, per il politico condannato in via definitiva per reati commessi nell’esercizio della proprio funzione, la non candidabilità a vita in qualunque assise pubblica. Per intenderci, nemmeno in un consiglio comunale”.
A vita? Magari è incostituzionale…
“Se lo fosse, potremmo ugualmente inserire questa clausola nello statuto del Pdl. Ma c’è anche la questione dei funzionari pubblici, ho pensato anche a loro”.
Dica.
“In caso di condanna definitiva, immagino una norma che impedisca loro di essere riassunti dalla pubblica amministrazione a qualunque livello, anche se hanno scontato la pena”.
Guido Bertolaso dovrebbe dimettersi?
“Bertolaso sostiene che sia tutto in regola… mi fido di lui”.
Intanto ogni giorno si sentono scricchiolii nel governo. Quanto durate?
“Non amo i rumors. Io non penso che il governo sia in pericolo, non vedo rischi di una crisi”.
Esponenti del Pdl vengono coinvolti nelle indagini. E la Lega si frega le mani, si definisce il partito degli amministratori onesti…
“A differenza di qualcuno del Pdl, non ho complessi di inferiorità nei confronti della Lega. Conosco centinaia di giovani amministratori che si impegnano con passione ed onestà sul territorio. A destra è dagli anni ’50 che abbiamo questo modello davanti, la Lega non si è inventata nulla”.

martedì 8 giugno 2010

Meloni: Giovani non sono bamboccioni, ma vittime della crisi



Roma, 26 mag (Il Velino) – “I giovani italiani non sono “bamboccioni”, ma le vittime più vulnerabili della crisi e della disoccupazione”. Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, commenta così i dati Istat che fotografano lo stato dei giovani italiani. “Per la maggior parte dei giovani, la permanenza prolungata nella casa dei genitori non è una scelta, ma un obbligo” dichiara il ministro. “La generazione dei giovani di oggi non solo ha più difficoltà che qualunque altra in passato a trovare un impiego, ma anche a raggiungere quell’indipendenza economica indispensabile per progettare l’acquisto di una casa o la costruzione di una famiglia. E questa situazione è il frutto non solo della crisi economica, ma anche delle scelte fatte nei decenni passati da una politica poco lungimirante che ha preferito scaricare i costi sulle generazioni future perché tornava utile in termini di consenso immediato”. “Malgrado la stringente crisi economica, il governo ha iniziato a invertire la rotta riservando una particolare attenzione ai giovani: con uno stanziamento di 9 miliardi abbiamo garantito per la prima volta nella storia una forma di tutela a 5 milioni 300 mila persone, per lo più giovani dipendenti delle piccole imprese e degli studi professionali, apprendisti, lavoratori interinali, cocopro. Abbiamo poi promosso la cultura d’impresa tra i giovani, con due bandi del ministero della Gioventù, ovvero quello destinato alle associazioni studentesche per aprire spazi di consulenza all’avvio di impresa nelle università e il bando giovani protagonisti, con uno stanziamento di 20 milioni di euro”.
“In tema di lavoro, abbiamo lavorato per ricostruire il rapporto tra sistema della formazione e mondo del lavoro. E’ quello che abbiamo fatto con l’esperimento del Global Village Campus, nato per fare orientamento, per dimostrare ai ragazzi più meritevoli che lo Stato crede in loro e per mostrare alle imprese il livello di eccellenza di questa generazione. Il progetto ha avuto un successo insperato, la gran parte dei ragazzi è stata contatta dalle aziende partecipanti, e per questo motivo il programma verrà replicato di anno in anno e coinvolgerà presto almeno 10mila neolaureati nelle diverse università italiane”.

sabato 5 giugno 2010

Basta con i doppi e tripli incarichi: proporremo legge ad hoc

FONTE: Generazione Italia

Innanzitutto partiamo da due esempi di buona politica: Gianni Alemanno viene eletto Sindaco di Roma e dopo pochi giorni si dimette da parlamentare per dedicarsi a tempo pieno alla Capitale. Stefano Caldoro, appena dopo esser stato proclamato Presidente della Regione Campania, inoltra le sue dimissioni da deputato al Presidente della Camera Gianfranco Fini. Entrambi rinunciano all’immunità parlamamentare e a numerosi altri benefit. Bisogna plaudire il “senso delle Istituzioni” dei due esponenti del Pdl.
Il loro comportamente dovrebbe essere la regola. Ma così non è. In Parlamento, i doppi incarichi sono ormai una regola.
Questo a causa di una norma “bizantina” – l’art. 7 del Testo Unico per l’elezione della Camera dei deputati – che prevede l’ineleggibilità alla carica di parlamentare dei presidenti di provincia e dei sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti, ma non disciplina il caso inverso: cioè quello relativo a parlamentari in carica eletti sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti o presidenti di provincia.
Fino a tutta la XIII Legislatura, le Camere diverse volte hanno deliberato la decadenza dalla carica dei parlamentari eletti sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti o presidenti di provincia che non si erano spontaneamente dimessi dalla carica assembleare.
Dalla XIV Legislatura è cambiato l’orientamento delle Giunte per le elezioni, che, in assenza di una espressa disposizione, hanno ritenuto non sussistere gli estremi per una declaratoria di incompatibilità, soprattutto in considerazione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti. Risultato? Ci sono 251 casi di doppi incarichi, tra Camera e Senato.
Proporremo una legge ad hoc per evitare questo malcostume politico:
bisogna stabilire, in via transitoria, un termine (ad esempio, trenta giorni) entro il quale coloro che versano, all’entrata in vigore della legge in questione, in siffatta ipotesi di incompatibilità optino per una delle due cariche.
In caso di mancato esercizio dell’opzione entro tale termine, la legge potrebbe prevedere la decadenza di diritto dalla carica amministrativa (presidente di provincia o sindaco di un comune con più di 20.000 abitanti).
Presenteremo una norma ad hoc e vi terremo aggiornati.
Quello dei doppi (e tripli) incarichi è un malcostume politico e anche una barriera – in Italia non sono mai troppe – all’ingresso di forze nuove in politica. Eh sì, perchè se il Deputato fa allo stesso tempo il consigliere comunale e magari anche il Presidente della Provincia, lo spazio inevitabilmente si restringe. Per tutti.
Per moralizzare la politica bisogna partire anche da qui.

mercoledì 2 giugno 2010

Il degrado, lo combattono così...

Questa mattina ci siamo resi conto di alcune scritte comparse sui muri della città. Le scritte sono contro i CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione).
Evidentemente chi ha scritto ciò ha preso spunto dalla battaglia che l'Officina Open Source di Mesagne sta portando avanti contro i CIE.
Questo è il vivere civile della gente mesagnese? Ci si lamenta sempre della mancanza di civiltà, di rispetto e di cultura, tutti vogliono che ci si comporti in una maniera corretta, ma magari, le stesse persone che chiedono questo sono le stesse a dare vita a questi atti vandalici; magari le stesse persone hanno partecipato al "Piazza Orsini Day"; magari è la stessa gente che ha duramente criticato l'Amministrazione Incalza.
Di seguito pubblichiamo le foto scattate in via A. Profilo e in piazzetta Riglietta:




venerdì 28 maggio 2010

Droga, Meloni:"Pugno duro, la trasgressione è non farsi"

Roma - Dito puntato contro "quei cattivi maestri che dal cinema, dalla televisione, dalla musica, bombardano incessantemente i giovani con messaggi fuorvianti". Ma non solo. Anche la sottocultura post-sessantottina, rea di aver propinato "un’assurda teoria secondo cui a fianco delle droghe che fanno male ci sarebbero quelle innocue". Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, non fa sconti e si fa baluardo per la tolleranza zera all'abuso di stupefacenti e alcolici. "La scuola, la famiglia, la società - spiega il ministro - hanno colpe solo se, per indifferenza o disimpegno, abdicano al loro ruolo educativo nei confronti dei giovani". Da qui l'impegno per una campagna per sensibilizzare i giovani e combattere un fenomeno - quello dello sballo - che sta distruggendo troppe vite.
Ministro Meloni, senza volerlo demonizzare, il divertimento sta diventando sempre più sinonimo di "sballo" e "trasgressione". Perché?
"Penso che il problema di fondo sia la sottovalutazione dei rischi legati ai fenomeni degenerativi come l’uso di droghe e l’abuso di alcol, connessa all’idea che la trasgressione che porta all’eccesso sia un elemento di distinzione dagli altri, un modo per sentirsi migliori, più 'fighi', per spiccare dalla massa. Ad alimentare questa mentalità contribuisce sicuramente l’opera dannosissima di 'cattivi maestri' e modelli sbagliati che dal cinema, dalla televisione, dalla musica, bombardano incessantemente i giovani con messaggi fuorvianti. Ma non solo: se è vero che il divo del cinema o il cantante del momento che inneggino alla droga danno un pessimo esempio, altrettanto ha fatto il diffondersi della sottocultura post-sessantottina circa l’approccio con la dimensione degli stupefacenti, che propina un’assurda teoria secondo cui a fianco delle droghe che fanno male ci sarebbero quelle innocue, o addirittura 'di tendenza'. Bisogna avere il coraggio di dire le cose come stanno, e cioè che la vera trasgressione sta nel non 'farsi', che chi si lascia trascinare è tutt’altro che un modello da imitare, ma un perdente. Questa è vera rivoluzione: mettere davanti a tutto l’autonomia del pensiero libero, che è sempre più forte di ogni condizionamento, di ogni catena, di ogni bavaglio."

L'abuso di alcolici e un più facile accesso agli stupefacenti rendono le nuove generazioni sempre più a rischio. Problema sociale o educativo?
"Entrambe le cose: perché se da un lato la maggiore facilità di accesso agli stupefacenti rappresenta un incremento del rischio, dall’altro è innegabile che davanti ad un giovane consapevole, informato e formato sui rischi connessi all’assunzione di droga o all’abuso di alcol non c’è lusinga o facilitazione che valga: se sa dire no, dirà no a chiunque e a qualunque condizione."

Quali sono i rischi maggiori connessi allo sballo?
"Sicuramente quelli connessi alla salute. Del potere distruttivo di droghe come eroina e cocaina la consapevolezza è ormai, per fortuna, pressoché universale. Molto diffusa anche la conoscenza dei rischi legati all’assunzione di ecstasy e droghe sintetiche, di cui anche la singola assunzione può risultare fatale o comunque provocare danni devastanti al fisico. Ma sono sempre più numerosi gli studi clinici e le indagini scientifiche che dimostrano al di là di ogni dubbio come anche le droghe cosiddette 'leggere' possano ingenerare pericolosi disturbi mentali e della personalità, contro i quali spesso le terapie riabilitative riescono a fare ben poco."

Cosa possono fare la società e la politica per combattere questa piaga? "E’ ormai un dato di fatto che la repressione, per quanto efficace, non basta da sola: occorre soprattutto un’articolata opera di prevenzione, incentrata soprattutto sulla diffusione di una corretta informazione, sulla sensibilizzazione dei giovani, e sull’accompagnamento di questi ad una seria e consapevole presa di coscienza dei rischi. E’ proprio questa la strada intrapresa dal ministero della Gioventù per affrontare, ad esempio, la questione di un errato approccio con l’alcol, che ogni anno miete migliaia di giovani vittime: penso all’Operazione Naso Rosso, pensata per esortare gestori di locali, buttafuori, barman e dj a scendere in campo per primi ogni sabato sera facendosi 'testimonial attivi' di buone pratiche, spiegando ai ragazzi i rischi correlati al mettersi al volante in preda ai fumi dell’alcol, o anche semplicemente un po’ su di giri."
La scuola ha colpe? Può fare qualcosa? "La scuola, la famiglia, la società hanno colpe solo se, per indifferenza o disimpegno, abdicano al loro ruolo educativo nei confronti dei giovani, e rinunciano al creare quei modelli positivi e sani che da sempre rappresentano l’unica alternativa forte alla subcultura dello sballo. E’ proprio da loro, dalla famiglia prima di tutti, che devono arrivare messaggi forti e chiari ai giovani su ciò che è giusto e ciò che non lo è."