lunedì 26 luglio 2010

Il profumo della libertà: un libro racconta l'eredità di giustizia di Falcone e Borsellino ai giovani italiani

«Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo». Questa la frase del magistrato antimafia Paolo Borsellino, che campeggia come sottotitolo sulla copertina del libro dal titolo “Il profumo della libertà”, una raccolta di memorie e testimonianze dedicate alle figure dei giudici Falcone e Borsellino, vittime della mafia. Il volume è stato presentato questa mattina dal ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, durante la trasmissione di Rai 1 “Uno mattina Estate”.

La pubblicazione del libro, interamente curata dal Ministero della Gioventù, avviene a diciotto anni esatti dalla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita Borsellino e gli uomini della sua scorta, e ha come scopo quello di tenere viva, anche tra i giovani che non li hanno conosciuti, la memoria di due eroi italiani, giunti sino all’estremo sacrificio per difendere lo Stato e i suoi valori dalla minaccia della mafia e della criminalità organizzata.

“Il profumo della libertà”, arricchito dalla prefazione del Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, dalla toccante lettera di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, dall’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, e da un’intervista all’ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, raccoglie numerosi contributi di chi è stato collega di Falcone e Borsellino e di chi oggi ne raccoglie l’eredità.

Il volume, per iniziativa del ministero della Gioventù, verrà regalato a tutti i responsabili degli uffici giudiziari italiani; a tutti magistrati palermitani; a tutti i consiglieri regionali siciliani; ai vincitori degli ultimi cinque concorsi in magistratura; ai vincitori degli ultimi concorsi nelle forze di polizia; alle associazioni giovanili italiane, in particolare quelle che si occupano di lotta alla criminalità organizzata, e alle organizzazioni universitarie; a tutte le biblioteche italiane ed a tutti i presidi di tutte le scuole secondarie superiori italiane, per l’inserimento nelle biblioteche d’istituto.

Già da oggi, però è possibile sfogliarlo e scaricarlo direttamente da Internet all’indirizzo www.ilprofumodellaliberta.it. Qui il volume verrà progressivamente arricchito di nuovi contributi lasciati da preziosi protagonisti della lotta alla mafia. “Il profumo della libertà” non è però solo un libro o sito web, ma vuole rappresentare una vera e propria piattaforma viva e partecipe di legalità e di sensibilizzazione dei giovani italiani verso una quotidiana lotta al sopravvivere della mentalità mafiosa.

SFOGLIA E SCARICA "IL PROFUMO DELLA LIBERTA'"

lunedì 19 luglio 2010

In ricordo di Paolo...


Come ogni anno si celebra la morte di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, massacrati da un gruppo di infami senza scrupoli. Con lui ricordiamo tutte le vittime della mafia, che hanno avuto il coraggio di ribellarsi e di denunciare il più corrotto dei sistemi. Nella lotta alla mafia il colore politico non deve essere considerato, in nome di chi ha combattuto il male arrivando fino all'estremo sacrificio per realizzare il sogno di un'Italia migliore. C'è bisogno di pulizia: devono essere puliti i partiti di qualsiasi colore, i tribunali e i commissariati, le strade e le stanze dei bottoni. DISTRUGGIAMOLI!

ITALIA LIBERA DALLA MAFIA!!

giovedì 15 luglio 2010

Reggio 1970: la destra popolare che capiva il sud


FONTE: Secolo d'Italia

di Marco Iacona

Quarant’anni fa – il 14 luglio 1970 – iniziava la rivolta di Reggio Calabria. La protesta popolare più nota del nostro dopoguerra con cinque vittime, centinaia di feriti e danni ingentissimi. La durata dei fatti, quelli di una certa importanza, fu di sette mesi (dal luglio 1970 al febbraio 1971) e la causa che vi diede luogo di rilievo storico: la decisione presa dall’alto di collocare il capoluogo di regione del neocostituito ente regione Calabria non a Reggio Calabria ma a Catanzaro. In molti ricorderanno che la destra del tempo – in primo luogo col suo sindacato di riferimento la Cisnal – s’impegnò a sostenere le ragioni dei cittadini di Reggio. Uno dei leader della rivolta fu infatti quel Francesco (o Ciccio) Franco, morto nel 1991 e ricordato da un busto sul lungomare della città dello Stretto, che per l’occasione si appropriò dello storico motto “Boia chi molla”.
La vera origine di una locuzione divenuta strafamosa grazie anche a Franco (ma di derivazione risorgimentale o forse dannunziana) è peraltro incerta almeno fino ai ’40, gli anni del tenente carrista Roberto Mieville, prigioniero nel Fascist’s Criminal Camp di Hereford in Texas, poi dirigente giovanile missino e fra i primi parlamentari del Msi. Fu in quel periodo infatti (Mieville morì nel 1955 per un incidente stradale) che la frase entrò a far parte degli slogan ricorrenti nel Msi, come un invito piuttosto virile a tenere duro per superare le avversità. Da allora attraverso il crinale degli anni ’60 e ’70, fino agli anni ’90 e oltre, “Boia chi molla!” (col punto esclamativo) è diventato uno dei motti identificativi della destra nelle sue derivazioni movimentiste. La rivolta dei “boia chi molla” di Reggio ha aperto così in tutti i sensi gli anni ’70. Il periodo nel quale le istituzioni non riuscirono più a soddisfare le attese provenienti dal “basso”, quelle medesime istituzioni che negli anni seguenti, com’è noto, finiranno per vacillare. Era ovvio naturalmente che senza l’attribuzione del “pennacchio” (cioè del capoluogo di regione della Calabria) i reggini dopo esser stati solo sfiorati dal boom economico fossero tagliati fuori dai vantaggi che la “promozione” a capoluogo di regione poteva apportare loro. E cioè: posti di lavoro certi e un indotto tutt’altro che trascurabile. I partiti e la triplice sindacale non comprendevano fino in fondo la voglia di riscatto dei cittadini che chiedevano di non essere spogliati di prerogative che storicamente gli erano appartenute. Lo stesso sindaco democristiano Pietro Battaglia si era trovato in una situazione difficile; fra l’incudine della politica e il martello dei manifestanti, era stato lui stesso a guidare le prime proteste cittadine prima che la situazione degenerasse. Ma era stato tutto inutile. A Reggio, oltre alla destra parlamentare e non, si erano dati appuntamento “da sinistra” anche quelli di Lotta Continua, che speravano anche loro di poter interpretare una vera rivolta di popolo. Adriano Sofri e i suoi più stretti collaboratori erano scesi a Reggio cercando di partecipare all’evento e facendo affiggere in tutta Italia un manifesto: “Reggio capitale per uno scontro con lo Stato”. «Qui – sostenne Sofri – ci sono ottime prospettive rivoluzionarie». I protagonisti della sommossa di Reggio provenivano infatti da “culture” diverse ma unite da certo credo movimentista. Così, come ha scritto Giano Accame nel suo Una storia della Repubblica: «Sorsero barricate, ci furono morti, il governo giunse a impiegare reparti militari, le donne dei quartieri popolari impararono come gli studenti del centro-nord a confezionare bottiglie incendiarie da lanciare contro la polizia. Contribuì non poco ad eccitare gli animi il sindacalista missino Ciccio Franco coi suoi “boia chi molla!”, ma in un contesto che comprendeva esponenti democristiani e gente di tutti i partiti». A capeggiare la rivolta e a proclamare lo sciopero generale a oltranza c’era infatti un “comitato d’azione” trasversale, piuttosto intransigente e guidato da Franco. I “nemici” se così vogliamo chiamarli erano i rappresentanti nazionali nati in Calabria di quella coalizione di centrosinistra che guidava il paese da una manciata di anni: il Dc Riccardo Misasi e il socialista Giacomo Mancini entrambi cosentini, e interessati più alle esigenze della loro città e molto meno alle sorti di quella Reggio che non poteva vantare rappresentanze di altrettanto peso all’interno del Parlamento. Questa era dunque la “brutta” politica che l’inedito movimentismo da destra intendeva scardinare. Così il 14 luglio 1970 dopo un comizio del sindaco Battaglia e del consigliere provinciale missino Fortunato Aloi (era stato proclamato lo sciopero generale contro l’insediamento seppur provvisorio dell’Assemblea regionale a Catanzaro), e dopo una carica della polizia inizierà la vera e propria rivolta popolare. I manifestanti occuperanno strade e ferrovie. Il primo vero scontro non sarà a Reggio ma a Villa San Giovanni il porto dal quale partono i traghetti per la Sicilia. A far degenerare il clima poi sarà la notizia che le forze dell’ordine hanno operato alcuni fermi. La destra missina invece dopo un iniziale tentennamento, cavalcherà la protesta con motivazioni più che altro politiche. E gli alti poteri come si comporteranno? I sindacati della triplice sono passati da un atteggiamento di “disimpegno” a uno di dura critica. Gli organi di stampa italiani invece sono come spiazzati, molti di loro parleranno di “azioni teppistiche” e basta; l’agenzia sovietica Tass in quel periodo parlerà invece di un’azione “fascista” tout court, nel chiaro tentativo di screditare una protesta che andava oltre le logiche degli apparati di partito. Nei giorni, tuttavia, la protesta sfiorerà punte di massima tensione: a cominciare dal deragliamento del Treno del sole, il Palermo-Torino all’altezza di Gioia Tauro con sei morti (22 luglio), con l’occupazione dell’Università di Messina, con i proclami “secessionisti” (e la Repubblica di Sbarre, che era il quartiere di Ciccio Franco), con l’assalto alla Camera del lavoro e con l’arresto di Franco e di altri dimostranti. Dopo il giro di boa del nuovo anno (12 febbraio 1971), il governo presieduto da Emilio Colombo, in emergenza soprattutto per questioni finanziarie e per la legge sul divorzio, deciderà però di correre ai ripari. I cittadini di Reggio e zone limitrofe hanno avuto il loro tempo per “sfogarsi” e le logiche della politica tornano a dettare legge. Il risultato dei provvedimenti governativi però sarà un qualcosa a metà strada fra una “saggia” mediazione e una colossale presa in giro. Alle tre città più importanti della Calabria verranno assegnate prerogative importanti, almeno sulla carta. A Catanzaro rimarrà il “pennacchio” cioè sarà ufficialmente capoluogo e sede della giunta regionale. Cosenza sarà sede universitaria, mentre Reggio avrà il contentino della sede dell’Assemblea regionale. Ma c’è di più. Il governo prometterà di costruire a Gioia Tauro un centro siderurgico e a Saline (entrambe vicino Reggio) uno stabilimento Liquichimica. Sulla carta sarà quasi un pareggio... E i veri frutti? Le proteste andranno avanti ancora per molti mesi. Il polo industriale calabrese non decollerà mai, né a Gioia Tauro ove verranno abbattuti quasi inutilmente ettari di oliveti e agrumeti, né a Saline. A distanza di quarant’anni dunque, a reggere saranno solo i ricordi delle azioni di forza guidate da Ciccio Franco. L’ex sindaco reggino Giuseppe Scopelliti nel 2006 lo definirà per il coraggio e la brillantezza mostrata sul campo un «modello per la destra di oggi».

mercoledì 14 luglio 2010

Meloni al Campo Cyrano:"I giovani siano rivoluzionari"

Il contesto è quello del Campo Cyrano 2010, svoltosi dal 9 al 11 luglio a Sorrento. Secondo il ministro Meloni la gioventù deve essere RIVOLUZIONE. Deve riuscire a garantire il futuro a coloro che verranno dopo di noi. La gioventù deve essere FUTURISMO: non basta difendere il passato, ma bisogna creare un movimento che venga ricordato nella storia. E' arrivata l'ora di FARE L'ITALIA!

lunedì 12 luglio 2010

Meloni contro il Pdl:"Cattivi con me"


Fonte : Il Tempo

Per giorni non ha parlato. È rimasta in silenzio, ha preferito evitare le polemiche. Poi è andata dai ragazzi, i suoi ragazzi che avevano organizzato il Campo Cyrano in penisola sorrentina. E qui, lontano da Roma e dalle polemiche di questo giorni s'è lasciata andare. Uno sfogo in piena regola quello di Giorgia Meloni al termine di una settimana che ha visto lo scontro violento sul suo disegno di legge sulle comunità giovanile. La ministra della Gioventù è finita sotto il tiro incrociato dell'Italia dei Valori (con rissa finale) e delle critiche provenienti dal suo partito: Martino, Mussolini, Barbareschi in testa. Ma anche Di Girolamo e Perina. La Meloni così passa all'attacco e con voce un po' rotta dall'emozione racconta (mentre è stato azionato un microfono) gli ultimi giorni: «Mi sono interrogata molto su quello che è accaduto perché è stato un fulmine a ciel sereno».


Ripercorre i passaggi istituzionali, il dibattito con i ministri, le Regioni, il partito, in Commissione. Si ferma, deglutisce. E riprende il racconto: «Poi è accaduto qualcosa di strano in Aula con un atteggiamento da parte delle forze di minoranza molto costruttivo, il centrosinistra non era favorevole ma aveva lavorato per migliorare. L'Udc aveva dato una disponibilità e era sostanzialmente favorevole al provvedimento: ha votato contro la sospensiva chiesta dall'Italia dei Valori e il Pd si era astenuto». Poi, mentre sembrava regnare un clima sereno, la sorpresa. «È accaduto invece che alcuni esponenti del Pdl abbiano dato vita a un'opposizione molto forte» dice la Meloni. Che si ferma. Aggiunge: «Molto cattiva». «Ci sarebbero tante cose da dover dire su quelli che hanno fatto questa opposizione - spiega la titolare della Gioventù - perché sono motivazioni diverse che spingono singoli soggetti. In realtà noi parliamo di una minoranza rumorosa mentre la stragrande maggiorana del Pdl stava votando serenamente il provvedimento come quando si fa gioco di squadra».


Mette subito in chiaro: «Non farò nomi e cognomi, ognuno ha le sue motivazioni e quasi mai sono motivazioni ideali. In alcuni casi sì, c'è chi ha un'impostazione culturale diversa dalla mia ma siamo a una parte poco consistente di questa storia». Comincia ad alzare la voce e passa all'attacco: «Mi interessa a un'altra questione. Siccome trattavamo di una questione che viene considerata sacrificabile dalla politica, cioé le giovani generazioni, è il classico disegno di legge sul quale ciascuno pensa di sfogare tutte le proprie difficoltà, tutte le proprie insoddisfazioni. È quello che è accaduto in Aula fino di fatto a tentare di bloccare il provvedimento». S'inalbera, urla ai suoi ragazzi: «Mi prendo la responsabilità. Questa legge la portiamo a casa, fosse l'ultima cosa che faccio». Partono gli applausi, i giovani del campo si scaldano e lei si fa prendere la mano. Riattacca: «Non la portiamo a casa perché è una battaglia storica di un certo mondo. Noi la portiamo a casa perché un certo mondo ha fatto quella battaglia storica perché era giusta. Qui non è che stamo a ffa' 'na battaglia sentimentale».


Ancora applausi, la Meloni non molla: «Credo davvero che le comunità giovanili possano essere una risposta seria, credibili, la prima data nella storia della Repubblica dalle istituzioni al grande tema del disagio giovanile. Tutti dicono che se ne interessano e poi se ne fregano». Tende la mano ai critici assicurando che «ci sono dei margini». Ma avverte: «Le tante dietrologie sono venute fuori perché oggi può sembrare strano che uno faccia qualcosa solo perché lo considera giusto, è la sfida delle idee che diventano azioni». Infine conclude: «Qualcuno ha detto che non ha senso spendere 12 milioni di euro per i giovani. E qui c'è una grande questione culturale e politica. Io penso che invece ne valga la pena perché mi pongo il problema di che cosa lascerò dopo di me. E non me ne frega niente se questo mi porterà più o meno voti».

sabato 10 luglio 2010

Chi nel Pdl mi critica si prenda la responsabilità di abbandonare i giovani

Lettera di Giorgia Meloni (Ministro della Gioventù) a "Il Giornale"

Caro Direttore, leggendo oggi la rassegna stampa mi rendo conto di come gli insulti, le risse e le sceneggiate napoletane verificatesi in Parlamento rischino di coprire la sostanza del ddl del governo sulle Comunità Giovanili, sul quale vorrei provare a fare chiarezza.
Le Comunità Giovanili non sono altro che centri per l’aggregazione dei giovani. Spazi comunali, caserme in disuso, immobili confiscati alla criminalità organizzata, in cui una libera associazione possa svolgere attività di vario tipo. Dallo studio al teatro, dalla musica ai cineforum, dallo sport al volontariato, e molto altro. Il tutto in un contesto democratico di elettività delle cariche direttive, trasparenza nei conti, legalità, assenza di fini di lucro. Tutto qui. Eppure, in queste ore mi è toccato ascoltare una serie incredibile di falsità da parte di esponenti politici chiaramente in malafede o troppo pigri per leggere il disegno di legge. Particolarmente, brucia l’accusa rivoltami di voler destinare fondi a non si sa bene quale realtà amica. Il ddl non stanzia nuovi fondi al mio ministero: i fondi ci sono già, stanziati anni fa proprio per le Comunità Giovanili. Io avrei potuto utilizzarli senza una legge. Invece ho scelto di vincolarli perché possano dare vita a qualcosa capace di sopravvivere al governo Berlusconi o al ministro Meloni. E ho scelto di confrontarmi col Parlamento affinché questa novità fosse il più possibile condivisa. Poi si può anche dire, come ha fatto qualcuno con espressioni infelici, che in tempo di crisi questa idea per i giovani sia troppo generosa o statalista. Legittimo. A patto che mi si spieghi quale grande emergenza nazionale si risolverebbe con 12 milioni di euro. A patto che nessuno si azzardi più a parlare di «disagio giovanile», «prevenzione sociale», «emergenza educativa» con grandi promesse in campagna elettorale. Questa legge non risolverà il problema del lavoro che non c’è, degli stipendi precari e da fame o della pensione, ma è la prima legge a loro dedicata da almeno tre legislature. È curioso che i più fervidi oppositori del provvedimento, a parte le abituali volgarità di Idv, siano stati alcuni parlamentari Pdl. Investire pochi milioni di euro per dare a migliaia di giovani un’alternativa alla droga e alla criminalità è così vergognoso? Io penso di no e intendo andare avanti. Del resto, sono solo una persona coerente che non dimentica da dove viene. Racconto questo sogno delle Comunità Giovanili nelle piazze e nelle assemblee studentesche fin dai tempi del liceo. Continuo a farlo da ministro, con la passione di chi crede in quello che fa. Non c’è solo una bella storia politica a supportarmi in questo impegno o la solidarietà generazionale che mi si è riversata addosso in queste ore. C’è anche una promessa fatta a Scampia, in mezzo a palazzoni scrostati e un’aria pesante come il piombo, di fronte a un nugolo di studenti che meriterebbero la nostra mobilitazione, piuttosto che vedere il Pdl scaricare sui giovani, l’anello debole di questo tempo vigliacco, la propria difficoltà a risolvere i conflitti interni.

Per leggere il DDL sulle Comunità Giovanili
clicca qui

venerdì 9 luglio 2010

Aurora - Lo studente



Signor professore Lei sa che cosa e' giusto
Perdoni il mio ardire e non mi guardi con disgusto
Se sabato scorso la scuola ho marinato
E' perche'‚ ad un gran corteo di studenti sono andato
Per dire ad un ministro inebriato dal potere
Che non basta una riforma per comprare il mio sedere
Quel cinque in italiano e' una cosa scorretta
Lei pensi quel che vuole ma rispetti la mia lotta
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male
E se dico che quegli anni ci insegnano qualcosa
Che non sono affatto bui ma anzi un'alba assai radiosa
E se i suoi diciotto anni son Valle Giulia ed il sessantotto
Non si permetta di dir niente se per il mio ideale lotto
Io voglio sol difendere la mia gente e la mia storia
Da tutti quei bastardi cui da fastidio la memoria
In fondo cosa dire, sono solo uno studente
E voi siete in tanti a dir non me ne frega niente
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male
Signor professore oramai lei mi ha stufato
Non posso più restare a guardare ammutolito
Le sue belle lezioni di storia e di morale
Dirci cos'e' il giusto e come estirpare il male
Ormai io ho capitoo qual e' il suo sporco gioco
A plagiar giovani menti ci si mette poco
Infondo do fastidio e me ne rendo conto
Come non giustificare chi mi vorrebbe morto
Quei figli del potere e delle sue dottrine
Scagliati sul ribelle pronti con le ghigliottine
Che mi aspettano all'uscita di scuola o sul portone
Per far giustizia nel nome del padrone
Lei mi chiami sovversivo, pazzo o rivoluzionario
Ma io credo in quel che dico e non lotto per denaro
E' solo professore una questione di morale
Lei e' il buono e sta nel giusto mentre io sono il male!!!