mercoledì 23 giugno 2010

Parlare di Padania sul baratro del nulla


FONTE: Fare Futuro Web Magazine

La Padania «non esiste, è un’invenzione che va contro l’unità del paese». O meglio, «è uno slogan» di successo. No, «non c’è lo stato padano, ma la Padania esiste». E poi, se è un’invenzione «lo sono anche il Sud e la questione meridionale». La Padania «è sempre esistita nella storia» e «nella realtà socio-economica» (i voti lo confermano). La Società geografica italiana smentisce: «la Padania come spazio etno-culturale omogeneo non esiste». Replica: «Chissà cosa dovremmo dire, allora, delle differenze etnico-storico-culturali che esistono tra la Padania e le altre parti del paese!». Di più: «Nel 1847 il Principe e cancelliere austriaco Metternich affermò che l’Italia altro non era che un’espressione geografica, e non, quindi una realtà coesa». Milano, Venezia e Torino devono di conseguenza diventare “capitali”. Del resto, il capoluogo lombardo non può allontanarsi dalle radici che «ha nella storia padana, italiana e mondiale». Il Pdl milanese smentisce la Lega milanese: meglio «non rifarsi all’inesistente storia della Padania ma a quella reale di Milano». Il tutto è «roba da psichiatria più che da politica: più che la razionalità servirebbe infatti un buon medico». Nel frattempo viene nominato – non si sa per quale motivo – un “ministro del federalismo” che Bossi immediatamente disconosce («sono io l’unico ministro del federalismo, il federalismo lo facciamo io e Calderoli») e che solleva malumori tra la parte padana e quella italiana della maggioranza. Perfino Gasparri si espone: «Lo stimo ma non serviva». Insomma, anche il federalismo esiste (con tanto di ridondanza) e non esiste (nessuno ha ancora ben capito di che si tratti). Proprio come la Padania. Chissà se qualcuno prima o poi canterà “federalismo libero”, o “federalismo indipendente”.Dall’ontologia alla tattica: la Padania esiste nel primo articolo dello statuto della Lega Nord, che «ha per finalità il conseguimento dell’indipendenza della Padania attraverso metodi democratici e il suo riconoscimento internazionale quale Repubblica Federale indipendente e sovrana». Democratici, ma solo finché conviene: da un lato, infatti, «So quanti di voi sono pronti a battersi, anche milioni, ma ho scelto la strada pacifica rispetto a quella del fucile». Dall’altro, però, in «dieci milioni» sarebbero pronti a sollevarsi in difesa della Padania, «imbracciare i fucili» contro «la canaglia centralista romana». Del resto «per i fucili c’è sempre una prima volta»: sono «sempre caldi». Eppure i sondaggi dicono che soltanto il 40% dell’elettorato sarebbe pronto alla “rivolta” per la “secessione”. Contando un 12% dei votanti, e tenendo conto che a votare si è presentato il 64,2% degli aventi diritto, dopo due rapidi e approssimativi calcoli si arriva a poco più di 2 milioni di persone. Chissà, forse i più guerrafondai si nascondono tra i bambini e i non votanti. O forse i voti non dipendono affatto dal teatrino secessionista. E poi c’è l’inno: Mameli lo si ama «solo per legge“, mentre a scaldare i cuori è il Va’ Pensiero. Che così lo rimpiazza nelle cerimonie ufficiali – tutta colpa del “portavoce”, dice chi sfreccia con l’auto blu a 190 all’ora per “motivi istituzionali”. Nel frattempo Verdi (non v.e.r.d.i., sia chiaro) è la colonna sonora della nazionale che trionfa con il Kurdistan e vince per la terza volta i “mondiali dei popoli”. Una gioia immensa, rivela Renzo Bossi dal palco di Pontida, appena dopo l’annuncio dello speaker: «questa è la nostra nazionale». Lo sapevamo lo stesso: lo aveva fatto capire Radio Padania, esultando alla rete del Paraguay contro l’Italia ai mondiali sudafricani (quelli “veri”) – in cui gli azzurri batteranno sicuramente la Slovacchia, dice Bossi, «tanto la partita se la comprano» («il senatore ha passato il segno», ribatterà la FIGC). «Avete dato più importanza a 300 ascoltatori che a 21 milioni», tuona La Russa dopo aver ricordato che «Calderoli mi piace molto di più come ministro che come commentatore sportivo. Anche perché la sua conoscenza calcistica si limita alla vittoria della Padania su non so quale squadretta». Al calcio insomma non si chiedono “sacrifici” (non sono mica dipendenti pubblici o imprenditori che pagano le tasse). Daniele De Rossi dice che tiferà contro la Padania. Miss Padania invece che terrà per l’Italia: «Il Carroccio? Non so che cosa sia… E non conosco nemmeno Alberto da Giussano». Replica stizzita del senatore Cesarino Monti: «La bellezza non è sinonimo di intelligenza». E poi c’è Gigi Riva, che sostiene che «bisognerebbe intervenire, perché il nostro paese vive uno stato di confusione e di caos e alla lunga situazioni del genere potrebbero provocare problemi».Qualcuno a Napoli, ad esempio, potrebbe vietare l’ingresso e la pizza ai leghisti(“non sono graditi”), colpevoli di aver cantato – come al solito – «noi non siamo napoletani». Salvini quest’anno a Pontida ha taciuto (l’anno scorso intonò il coro «senti che puzza/scappano anche i cani/sono arrivati/i napoletani/son colerosi, terremotati/e col sapone non si sono mai lavati») – a parte l’ironia dopo il pareggio con la Nuova Zelanda («anche la figura di oggi è colpa di Radio Padania?»). Tosi ridimensiona: «Salvini scherza. Quando finirà di fare l’eurodeputato andrà alla Gialappa’s Band». La Confederazione Sud però non ha proprio gradito le parole provenienti dal “sacro prato” e dalla statua di Alberto da Giussano (ma sarà esistito poi?) alta dieci metri: «è un raduno di montanari», e bisognerebbe che i quotidiani e le televisioni del Sud boicottassero «le notizie che parlano della lega nord e dei padani: ignorandoli e dando più spazio ai soggetti locali e nazionali». Raffaele Lombardo si spinge fino a ipotizzare una secessione al contrario, da Sud: serve «Una formazione autonomista legata al territorio» che «potrebbe quindi pesare tanto quanto la Lega e la Sicilia tanto quanto la Padania». Del resto, l’Unità d’Italia «è virtuale, una invenzione, una falsificazione di cui prima o poi qualcuno avrebbe dovuto prendere atto, perché esistono almeno due Italie: quella ricca e quella povera, quella fortunata e quella emarginata, quella con la piena occupazione e quella con la piena disoccupazione». Cronache da un paese sospeso tra reale e virtuale, sul baratro del nulla.

mercoledì 16 giugno 2010

In ricordo di Francesco...


Oggi 16 giugno, si commemora la morte di Francesco Cecchin, militante del Fronte della Gioventù, che venne ucciso da militanti comunisti. Cecchin fu pestato e gettato da un parapetto nella notte tra il 28 e 29 maggio 1979, dopo diciannove giorni di coma morì. Purtroppo, come spesso accade, non è mai stata fatta giustizia e gli assassini di Francesco sono ancora in libertà e continuano a fare politica, come se niente fosse accaduto. Nonostante la loro impunità, i giudici indicarono che Cecchin non era caduto accidentalmente dal parapetto, come sostenuto da alcuni esponenti di Rifondazione Comunista, ma che vi era stato gettato. Con questa storia, vogliamo ricordare un ragazzo che fu ucciso per via delle sue idee, perché non aveva paura di esporle, perché era orgoglioso di appartenere al Fronte della Gioventù. Inoltre, vogliamo porre l’attenzione su di noi. Quando un ragazzo o una ragazza, dichiara in pubblico di essere di destra, viene subito guardato con occhi diversi. Intediamo far sapere che esiste ancora oggi una sorta di ghettizzazione, verso i giovani che si riconoscono negli ideali della destra. Ci chiediamo come mai siamo ghettizzati; la gioventù la viviamo come la vivono gli altri: andiamo a scuola, ci divertiamo con gli amici, andiamo a mare. Infine vorremmo lanciare una proposta: perché non intitolare una via ad uno dei ragazzi del FdG caduti durante gli anni di piombo?

venerdì 11 giugno 2010

La rivincita del "Fronte" su Facebook




di Giovanni Tarantino

Un album di famiglia a tutti gli effetti. I numeri dicono tutto: 2345 membri, 743 foto. Sono i dati significativi del grande successo riscontrato sul social network Facebook dal gruppo dedicato al Fronte della Gioventù, la storica organizzazione giovanile del Msi fondata quasi quarant'anni fa, alla fine del 1970. Il primo segretario nazionale fu Massimo Anderson, nel 1977 arrivò Gianfranco Fini, quindi Gianni Alemanno nel 1988. Adesso gli "anni del Fronte" rivivono alla grande su Facebook, segno dei tempi, grazie a un'idea del fondatore del gruppo, il palermitano Francesco Paolo Ciulla, che ha messo a disposizione della versione "on line" del FdG gran parte del suo materiale personale, così come è stato fatto da altri protagonisti dei tempi, come Ferdinando Parisella, attualmente in possesso del più grande archivio fotografico sulla stagione dei Campi Hobbit e non solo.
Dentro c'è praticamente tutto, dalle icone ai manifesti, dai volantini, alle tantissime foto private adesso rese pubbliche. Le battaglie, l'ironia, le feste: tutto raccontato attraverso immagini immortalate dagli allora militanti e simpatizzanti, che rendono, tuttavia, perfettamente onore al percorso compiuto da tanti giovani tra la fine degli anni Settanta fino ai primi Novanta. Naturalmente dentro c'è tutto il decennio degli Eighties: i Campi Hobbit e le imponenti manifestazioni studentesche, fino a giungere a quelle contro la mafia prima e dopo la stagione delle stragi del '92. E poi le discussioni, quelle che spiegano cosa c'era dietro ogni singola battaglia, le idee. Particolarmente gettonati gli amarcord sulle vecchie sezioni cittadine, spesso seminterrati che univano le sorti dei militanti di Palermo a quelli di Monza, Taranto, Bologna, e perfino di alcune sezioni romane. Non mancano le discussioni più marcatamente politiche, e così c'è chi ricorda con particolare entusiasmo quanto accaduto a Nettuno nel 1989, quando il Fronte della Gioventù venne alle cronache nazionali per la famosa manifestazione "gandhiana" di protesta contro George Bush senior. I ricordi, invece, sono pressoché infiniti: si va dal "primo libro" che è stato suggerito - dove a farla da padrone sono i vari Julius Evola, Yukio Mishima, John Ronald Reuel Tolkien, Ernst Jünger, ma anche
must del periodo come il saggio collettaneo a più mani del 1989 Le radici e il progetto (a cura di Annalisa Terranova e Isabella Rauti e scritti di Gianni Alemanno, Umberto Croppi, Peppe Nanni, Andrea Augello, Fabio Granata e tanti allora dirigenti o ex dirigenti del Fronte - al cosiddetto «battesimo del fuoco», ovvero i primi volantinaggi, o le prime affissioni di manifesti, possibilmente notturne. I quali, a loro volta, sono emblematici di tutta un'epoca: non mancano quelli a favore della Palestina libera, così come quelli contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan o a favore della Croazia, né tanto meno, per rimanere in ambiti internazionali quelli contro la dittatura polacca del generale Jaruzelski. È fortissima, comunque, la presenza di riferimenti alla lotta politica contro la mafia, specie a cavallo della stagione delle stragi, quella della primavera e dell'estate del 1992. Dominava le scene Fare Fronte, l'organizzazione studentesca del FdG che mutuava il suo simbolo, il labirinto celtico, dal Grece di Alain de Benoist & Co.
Fare Fronte si contraddistinse per lo spirito di avversione nei confronti di Cosa Nostra: celebri le manifestazioni, ben rappresentate nelle foto, con lo striscione al seguito «Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino», scritta che, successivamente, avrebbe anche caratterizzato alcune magliette. Il nome di Paolo Borsellino ricorre spesso, non a caso. La frase di presentazione del gruppo è proprio una delle più famose dichiarazioni che il magistrato palermitano, negli anni Sessanta, quando era uno studente universitario di Giurisprudenza, vicino al Fuan-Fanalino, assassinato il 19 luglio'92, rese alla Festa nazionale del Fronte della Gioventù del settembre 1990, svoltasi a Siracusa: «Potrei anche morire da un momento all'altro, ma morirò sereno pensando che resteranno giovani come voi a difendere le idee in cui credono... ecco, in quel caso non sarò morto invano». Non è causale che la foto di presentazione del gruppo, scattata proprio alla festa nazionale del Fronte del 1990 che si svolse quell'anno a Siracusa, ritragga, da sinistra verso destra, Paolo Borsellino, Giuseppe Tricoli, Gianni Alemanno e Fabio Granata.
Non manca, nelle foto del gruppo, il colore e l'immaginario. Chiaramente, verrebbe da dire: quegli anni Ottanta erano i tempi di certe grafomanie fumettistiche e non solo. Topi di fogna, ciclostilati, manifesti a fumetti come quelli inventati da Sergio Caputo, Umberto Croppi o Maurizio Guercio. La croce celtica, poi, veniva riprodotta ovunque e in qualunque maniera: da quella classica nera, su cerchio bianco e sfondo rosso, a quelle improvvisate a Milano, nere su sfondo giallo, che, magari inconsapevolmente, riprendevano il motivo delle primissime bandiere con le celtiche introdotte in Italia negli anni Sessanta dal movimento transnazionale Jeune Europe. E ancora croci celtiche azzurre, per rimarcare lo spirito europeista, quelle tutte rosse, per creare un po'di confusione situazionistica, e addirittura rosa e nere, perché anche i ragazzi del Fronte, la domenica … frequentavano gli stadi. Diverse le mutazioni che quel Fronte della Gioventù anni Ottanta prese a prestito dai fratelli maggiori che a inizio decennio avevano dato vita ai Campi Hobbit, iniziando il percorso che avrebbe animato la Nuova destra. Su questa fase del movimento giovanile missino ha scritto la giornalista Annalisa Terranova, studiosa del periodo, in merito al quale ha pubblicato il libro
Planando sopra boschi di braccia tese(edizioni Settimo Sigillo), sottolineando il fatto che i dirigenti del Fronte mutuarono via via dalla Nuova destra tarchiana «un'esigenza di metodo: rompere gli steccati, uscire dalla faida generazionale e costruire nuove sintesi». Per sottolineare: «L'esperienza della Nuova destra e l'avventura di Marco Tarchi e dei giovani intellettuali che stavano abbandonando le file missine hanno posto sul tappeto in bella evidenza il problema del consenso, della conquista di un'egemonia culturale nella società civile come via per legittimare e rendere credibile la presenza politica. Dietro l'espressione gramscismo di destra, che sembrava tanto pericolosa ai guardiani di un'ortodossia da museo, non si celava altro che questo. Il seme gettato darà un duplice frutto: l'allontanamento da ogni velleitarismo autoritario e l'ambizione di creare un metodo nuovo per agganciare adesioni».
Quanta strada venne poi fatta da allora. I protagonisti di quelle foto hanno dei nomi che hanno contribuito a rilanciare Fronte della Gioventù. A Roma con Gianni Alemanno, Andrea Augello, Paolo Colli, Fabio Rampelli e gli altri, a Milano con Paola Frassinetti e Marco Valle, in Sicilia con Fabio Granata e Pietrangelo Buttafuoco. Sarà la stagione della partecipazione al corteo unitario degli studenti a Roma il 16 novembre 1985, quei ragazzi dell'85 venuti alle cronache giornalistiche del tempo, come peraltro è testimoniato da stralci di giornale recuperati dal gruppo Facebook, del rientro di tremila studenti "di destra" a Valle Giulia il 20 dicembre 1986, delle manifestazioni antinucleari di Fare Verde, del dialogo nei meeting romani del Raduno della Contea con vari esponenti radicali, verdi, cattolici, socialisti e di sinistra, delle liste universitarie dell'89 e '90 messe insieme ai ciellini e ai Verdi, di nuovi temi come la "logica del superamento" e l'adesione alle tematiche dell'etnopluralismo e del superamento dell'occidentalismo.
Non manca il ricordo degli amici scomparsi, in circostanze tragiche quanto note, Sergio Ramelli e Paolo Di Nella su tutti, e poi Stefano Recchioni, Francesco Cecchin e tanti altri ragazzi dei Settanta vittime del peggior decennio della nostra storia. Così come non mancano i riferimenti ai leader misini, apprezzati e/o a volte boicottati, Almirante e Rauti. Allo stesso modo è ben presente l'allora giovane Gianfranco Fini: le foto rendono ben visibili certi cambiamenti estetici, dai lunghi cappotti blu e gli occhiali a goccia, molto "vendittiani", fino ai vestiti che lo hanno accompagnato negli anni di maggiore visibilità. Non è il solo ad avere cambiato look: le immagini, in fin dei conti, certificano l'abbandono graduale di alcuni da mise giovanili e ribellistiche, come la sciarpa araba kefiah, passando per mocassini da paninari o Clarks da compagni, fino a giungere a maglioni casual. Non solo «Europa, nazione, rivoluzione», quindi: in fondo anche questo è stato il Fronte della Gioventù. Se ne riparlerà probabilmente a dicembre in occasione del quarantennale della fondazione del Fronte.

Meloni: "La corruzione è un male contagioso pene più dure per politici e colletti bianchi"





Ministro Meloni, la sua casa?

“Cosa?”
Se l’è pagata da sola?
“Sì, 370mila euro con mutuo..:”
Un po’ poco…“Poco? Sono 50 metri quadrati sull’Ardeatina. Quando lo dico ai miei amici non ci credono, mi devo quasi giustificare per il prezzo alto: guardate che è molto carina, c’è una bella vista”.
Anemone lo conosce?
“No”
Bene, in tanti lo conoscevano però. Forse troppi non crede?
“Io sono una delle persone più rigide sulla questione morale, noi che veniamo dalla destra non facciamo sconti su questo. Ma stiamo attenti a non fare di tutta l’erba un fascio: per quanto certi episodi di corruzione possano essere diffusi, restano comunque una minoranza. E poi quanti sono su questa lista Anemone, 400 nomi? Magari domani si scopre che non tutti si sono fatti fare i lavori gratis”.
Ma quello che viene fuori è un sottobosco di favori reciproci, ben remunerati, a danno dell’erario. Una ragnatela di corruzione diffusa…
“Sicuramente in Italia, e non da oggi, c’è un andazzo diffuso. La corruzione è un fenomeno contagioso e, se non si fa nulla, dilaga. Per questo va stroncata in maniera esemplare”.
Basterà il disegno di legge anticorruzione del governo? Per l’opposizione è solo acqua fresca.
“Il governo deve dare segnali chiari. Il provvedimento va rafforzato e approvato immediatamente”:
Rafforzato come?“Ci vogliono pene più dure per i reati dei colletti bianchi e i politici corrotti vanno colpiti più degli altri. Non possiamo permetterci che passi l’idea che i politici sono tutti uguali e sono tutti ladri: la politica va salvata, resta la più bella forma di impegno civile. C’è poi la grande questione delle gare secretate, così non vanno bene, servono maggiori controlli”.
Colpire i politici corrotti, ma come?
“Sogno una norma che preveda, per il politico condannato in via definitiva per reati commessi nell’esercizio della proprio funzione, la non candidabilità a vita in qualunque assise pubblica. Per intenderci, nemmeno in un consiglio comunale”.
A vita? Magari è incostituzionale…
“Se lo fosse, potremmo ugualmente inserire questa clausola nello statuto del Pdl. Ma c’è anche la questione dei funzionari pubblici, ho pensato anche a loro”.
Dica.
“In caso di condanna definitiva, immagino una norma che impedisca loro di essere riassunti dalla pubblica amministrazione a qualunque livello, anche se hanno scontato la pena”.
Guido Bertolaso dovrebbe dimettersi?
“Bertolaso sostiene che sia tutto in regola… mi fido di lui”.
Intanto ogni giorno si sentono scricchiolii nel governo. Quanto durate?
“Non amo i rumors. Io non penso che il governo sia in pericolo, non vedo rischi di una crisi”.
Esponenti del Pdl vengono coinvolti nelle indagini. E la Lega si frega le mani, si definisce il partito degli amministratori onesti…
“A differenza di qualcuno del Pdl, non ho complessi di inferiorità nei confronti della Lega. Conosco centinaia di giovani amministratori che si impegnano con passione ed onestà sul territorio. A destra è dagli anni ’50 che abbiamo questo modello davanti, la Lega non si è inventata nulla”.

martedì 8 giugno 2010

Meloni: Giovani non sono bamboccioni, ma vittime della crisi



Roma, 26 mag (Il Velino) – “I giovani italiani non sono “bamboccioni”, ma le vittime più vulnerabili della crisi e della disoccupazione”. Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, commenta così i dati Istat che fotografano lo stato dei giovani italiani. “Per la maggior parte dei giovani, la permanenza prolungata nella casa dei genitori non è una scelta, ma un obbligo” dichiara il ministro. “La generazione dei giovani di oggi non solo ha più difficoltà che qualunque altra in passato a trovare un impiego, ma anche a raggiungere quell’indipendenza economica indispensabile per progettare l’acquisto di una casa o la costruzione di una famiglia. E questa situazione è il frutto non solo della crisi economica, ma anche delle scelte fatte nei decenni passati da una politica poco lungimirante che ha preferito scaricare i costi sulle generazioni future perché tornava utile in termini di consenso immediato”. “Malgrado la stringente crisi economica, il governo ha iniziato a invertire la rotta riservando una particolare attenzione ai giovani: con uno stanziamento di 9 miliardi abbiamo garantito per la prima volta nella storia una forma di tutela a 5 milioni 300 mila persone, per lo più giovani dipendenti delle piccole imprese e degli studi professionali, apprendisti, lavoratori interinali, cocopro. Abbiamo poi promosso la cultura d’impresa tra i giovani, con due bandi del ministero della Gioventù, ovvero quello destinato alle associazioni studentesche per aprire spazi di consulenza all’avvio di impresa nelle università e il bando giovani protagonisti, con uno stanziamento di 20 milioni di euro”.
“In tema di lavoro, abbiamo lavorato per ricostruire il rapporto tra sistema della formazione e mondo del lavoro. E’ quello che abbiamo fatto con l’esperimento del Global Village Campus, nato per fare orientamento, per dimostrare ai ragazzi più meritevoli che lo Stato crede in loro e per mostrare alle imprese il livello di eccellenza di questa generazione. Il progetto ha avuto un successo insperato, la gran parte dei ragazzi è stata contatta dalle aziende partecipanti, e per questo motivo il programma verrà replicato di anno in anno e coinvolgerà presto almeno 10mila neolaureati nelle diverse università italiane”.

sabato 5 giugno 2010

Basta con i doppi e tripli incarichi: proporremo legge ad hoc

FONTE: Generazione Italia

Innanzitutto partiamo da due esempi di buona politica: Gianni Alemanno viene eletto Sindaco di Roma e dopo pochi giorni si dimette da parlamentare per dedicarsi a tempo pieno alla Capitale. Stefano Caldoro, appena dopo esser stato proclamato Presidente della Regione Campania, inoltra le sue dimissioni da deputato al Presidente della Camera Gianfranco Fini. Entrambi rinunciano all’immunità parlamamentare e a numerosi altri benefit. Bisogna plaudire il “senso delle Istituzioni” dei due esponenti del Pdl.
Il loro comportamente dovrebbe essere la regola. Ma così non è. In Parlamento, i doppi incarichi sono ormai una regola.
Questo a causa di una norma “bizantina” – l’art. 7 del Testo Unico per l’elezione della Camera dei deputati – che prevede l’ineleggibilità alla carica di parlamentare dei presidenti di provincia e dei sindaci dei comuni con più di 20.000 abitanti, ma non disciplina il caso inverso: cioè quello relativo a parlamentari in carica eletti sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti o presidenti di provincia.
Fino a tutta la XIII Legislatura, le Camere diverse volte hanno deliberato la decadenza dalla carica dei parlamentari eletti sindaci di comuni con più di 20.000 abitanti o presidenti di provincia che non si erano spontaneamente dimessi dalla carica assembleare.
Dalla XIV Legislatura è cambiato l’orientamento delle Giunte per le elezioni, che, in assenza di una espressa disposizione, hanno ritenuto non sussistere gli estremi per una declaratoria di incompatibilità, soprattutto in considerazione della dottrina e della giurisprudenza prevalenti. Risultato? Ci sono 251 casi di doppi incarichi, tra Camera e Senato.
Proporremo una legge ad hoc per evitare questo malcostume politico:
bisogna stabilire, in via transitoria, un termine (ad esempio, trenta giorni) entro il quale coloro che versano, all’entrata in vigore della legge in questione, in siffatta ipotesi di incompatibilità optino per una delle due cariche.
In caso di mancato esercizio dell’opzione entro tale termine, la legge potrebbe prevedere la decadenza di diritto dalla carica amministrativa (presidente di provincia o sindaco di un comune con più di 20.000 abitanti).
Presenteremo una norma ad hoc e vi terremo aggiornati.
Quello dei doppi (e tripli) incarichi è un malcostume politico e anche una barriera – in Italia non sono mai troppe – all’ingresso di forze nuove in politica. Eh sì, perchè se il Deputato fa allo stesso tempo il consigliere comunale e magari anche il Presidente della Provincia, lo spazio inevitabilmente si restringe. Per tutti.
Per moralizzare la politica bisogna partire anche da qui.

mercoledì 2 giugno 2010

Il degrado, lo combattono così...

Questa mattina ci siamo resi conto di alcune scritte comparse sui muri della città. Le scritte sono contro i CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione).
Evidentemente chi ha scritto ciò ha preso spunto dalla battaglia che l'Officina Open Source di Mesagne sta portando avanti contro i CIE.
Questo è il vivere civile della gente mesagnese? Ci si lamenta sempre della mancanza di civiltà, di rispetto e di cultura, tutti vogliono che ci si comporti in una maniera corretta, ma magari, le stesse persone che chiedono questo sono le stesse a dare vita a questi atti vandalici; magari le stesse persone hanno partecipato al "Piazza Orsini Day"; magari è la stessa gente che ha duramente criticato l'Amministrazione Incalza.
Di seguito pubblichiamo le foto scattate in via A. Profilo e in piazzetta Riglietta: